Nel 2024 tutti i giorni sono rosso guerra, perché le date della pace nessuno è in grado di scriverle. Le date delle elezioni più importanti, invece, sono già definite: il 17 marzo in Russia, tra aprile e maggio in India, dal 5 al 9 giugno elezioni europee, il 5 novembre negli Usa.
Uscire di casa, recarsi al seggio, barrare e scrivere il nome di un candidato o il simbolo di un partito, infilare la scheda nelle urne. Oppure votare per posta o addirittura online. Nel 2024 queste azioni saranno ripetute in quasi tutto il mondo: decine i paesi al voto, più di due miliardi gli elettori, in un anno che il Guardian ha efficacemente definito il «Super Bowl della democrazia». Un numero record di elezioni, che alla fine potrebbero determinare un mondo più libero o al contrario un peggioramento delle democrazie globali.
Due miliardi di persone potrebbero recarsi alle urne, quindi, decidendo le sorti di oltre 75 paesi in cui vivono più di quattro miliardi di persone. La metà della popolazione mondiale. È difficile far finta che l’altra metà del mondo non sarà influenzata dai risultati elettorali che emergeranno e che plasmeranno almeno la fine del decennio, se non l’intera metà del secolo. Perché se si può discutere sull’impatto di un singolo leader o capo di Stato nelle scelte strategiche di una nazione, meno si può dibattere sull’importanza delle tornate elettorali sul volto di un paese.
Certo, ci sono elezioni ed elezioni. Circa 40 paesi, che rappresentano il 42 per cento della popolazione, terranno quelle nazionali, mentre negli altri sono previste tornate locali. Ci sono anche quelle transnazionali, come le europee. Paesi ricchi o in via di sviluppo, democratici e non. Perché è vero che si andrà a votare, ma in alcuni contesti le competizioni elettorali saranno tutt‘altro che libere. Secondo quanto riporta l’Economist, infatti, elezioni veramente eque si svolgeranno solo in 43 dei 76 paesi al voto, pari al 55 per cento. Una percentuale che suffraga la narrazione di un mondo diviso tra democrazie e autocrazie. O in alcuni casi regimi.
AUTOCRAZIE, DEMOCRATURE E REGIMI
Come nel caso dell’Iran, dove nel marzo 2024 sarà rinnovato il parlamento. Non sono previste svolte significative in un paese in cui negli ultimi anni la repressione feroce si è confermata contro opposizioni e spinte innovative, tuttavia rimane la possibilità di intravedere qualche segnale lanciato nei confronti delle autorità politiche e religiose, con il boicottaggio e l’astensionismo.
Sempre a marzo, andrà al voto pure la Federazione Russa di Vladimir Putin, che ha annunciato a dicembre la sua scontata ricandidatura in una scontata competizione. Le figure che hanno sfidato Putin sono fuori dai giochi, i candidati in lizza che si discostano da lui sono deboli e il sospetto che siano in corsa solo per dare una parvenza di competizione seria è reale.
Per l’attuale presidente il dubbio è solamente la percentuale che riuscirà a ottenere, lecitamente o meno. Anche in questo caso, difficile pensare a un miglioramento delle condizioni democratiche della Russia, con la guerra in Ucraina che continuerà e con Putin pronto a rimanere al potere fino al 2036.
Un discorso simile può valere per la Bielorussia, le cui elezioni parlamentari sono a febbraio del 2024 mentre le presidenziali l’anno successivo. Aleksander Lukashenko, da 30 anni alla guida del paese, continuerà a governare reprimendo le opposizioni, con queste ultime che hanno già deciso di boicottare le urne a febbraio, motivo per cui non si attendono cambi di scenario.
L’EUROPA DELLE ELEZIONI
In Ucraina ancora non è chiaro se si svolgeranno le elezioni a causa della guerra. Il presidente Volodymyr Zelensky ha allontanato al momento l’ipotesi. Ma le pressioni interne ed esterne non saranno facili da gestire per molto, e con tutte le criticità del caso, si potrebbe aprire la possibilità di vedere gli ucraini in fila a votare sotto le bombe russe, trionfo plastico della democrazia.
Rimanendo nel territorio europeo andranno al voto Portogallo, Romania, Austria, Belgio, Croazia, Lituania. La Finlandia per le presidenziali, così come la Slovacchia. Discorso a parte per il Regno Unito: la data delle elezioni non è fissata ma il premier Rishi Sunak ha confermato la sua intenzione di chiamare i cittadini a votare nel 2024. Dopo 14 anni di governo conservatore, i britannici sono pronti a voltar pagina scegliendo i laburisti.
Tutti paesi dove le fondamenta della democrazia non sono in pericolo e l’ipotesi forse peggiore è quella di un generale spostamento del baricentro verso l’estrema destra, per esempio in Portogallo o Austria. Nulla però che non possa essere istituzionalizzato, come già visto in altre parti, Italia compresa.
Spostamento a destra previsto anche alle elezioni europee, con i 400 milioni di elettori in tutta l’Unione che andranno al voto per rimodellare le istituzioni di Bruxelles. I risultati di questa elezione transnazionale avranno un peso specifico notevole perché dallo scontro tra sovranisti e europeisti probabilmente nasceranno riforme strutturali che plasmeranno la prossima Unione europea.
Se il 2024 sarà un anno record per le urne, però, molto è dovuto all’India e ai suoi 900 milioni di elettori che tra aprile e maggio voteranno. Nel paese asiatico, potenza in via di sviluppo per fattori demografici ed economici, il grande consenso attorno a Narendra Modi fa prevedere un successo del suo partito, Bharatiya Janata Party (Bjp), e un rafforzamento di quel nazionalismo indù che nel primo mandato ha premiato Modi, nonostante le accuse di repressione dei dissidenti politici e di minoranze musulmane. Le opposizioni, per la prima volta unite dietro la sigla ‘India’, rincorrono ma scontano la mancanza di una leadership credibile e l’ampia eterogeneità.
I VOTI IN ASIA E AFRICA
Che l’India sia a un punto di svolta, come ha detto Modi stesso, è fuor di dubbio, vista la sua ascesa tra le grandi nazioni e il suo possibile ruolo nella competizione tra Stati Uniti e Cina. Ma il punto di svolta è rappresentato anche dalle tentazioni che spingono l’attuale primo ministro verso un autoritarismo più marcato. La direzione che il paese prenderà dopo le elezioni chiarirà se l’India potrà ancora essere soprannominata la “democrazia più grande del mondo”.
A febbraio ad andare alle urne sarà anche il Pakistan. L’ex premier Imran Khan è in prigione, accusato di corruzione, ma ha ancora peso nel partito e ha deciso di correre nonostante la detenzione. Al voto in Asia anche Bangladesh e Indonesia, mentre in Africa le elezioni si svolgeranno tra Algeria, Tunisia, Ghana, Ruanda, Namibia, Mozambico, Senegal, Togo, Sud Sudan e Sud Africa, in alcuni casi con ombre importanti su libertà e imparzialità.
L’AMERICA E LE ELEZIONI PIÙ IMPORTANTI
Nel continente americano, invece, le urne saranno aperte in Messico, dove a contendersi il potere sono due donne: Claudia Sheinbaum Pardo e Xóchitl Gálvez. Fino ad arrivare agli Stati Uniti, in bilico tra la conferma di un Joe Biden in difficoltà interna e il pericoloso ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
I sondaggi al momento premiano quest’ultimo sia alle primarie repubblicane sia nella corsa contro il presidente dem, nonostante le possibili condanne dopo i fatti di Capitol Hill. Come afferma lo studioso Mario Del Pero, la recente decisione della Corte suprema del Colorado sembra un tentativo della democrazia americana di proteggere sé stessa: «Una forma di legittima difesa contro un soggetto che nelle settimane successive al voto del 2020 ha promosso un’azione eversiva finalizzata a impedire la transizione pacifica dei poteri e il riconoscimento del risultato elettorale».
L’ipotesi al momento concreta di un’elezione di Trump, con possibili derive autoritarie, avrebbe ripercussioni ad oggi imprevedibili sulla democrazia americana, che appare stanca e mai così fragile.
Nel 2022, secondo Freedom House, la libertà nel mondo è calata per il 17° anno consecutivo, 35 paesi hanno registrato una riduzione nelle libertà civili e nei diritti politici, mentre 34 hanno visto dei miglioramenti. Ecco perché il 2024 sarà un anno cruciale, un “turning point” che potrebbe cambiare sensibilmente l’indice delle democrazie nel mondo.
E un anno così ricco di elezioni storiche non potrebbe iniziare se non in un paese altamente simbolico per la lotta della democrazia: Taiwan. Le urne dell’isola di Smeraldo saranno forse quelle più bollenti, insieme a quelle statunitensi, e indirizzeranno il futuro di Taipei con Cina e Usa spettatori più che interessati. Già da gennaio si potranno avere indizi su che piega prenderà la democrazia nel mondo.