Quello che si apre oggi all’Aja, comunque vada, è un procedimento storico. Alle 10 ora italiana la Corte internazionale di Giustizia (Cig), il principale organo giudiziario dell’Onu, ascolterà dalla delegazione sudafricana i contenuti della denuncia presentata lo scorso 29 dicembre contro Israele, accusato di violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948.
Tre ore di udienza a cui seguirà, venerdì, la risposta israeliana. Ad ascoltare le due parti saranno i 15 giudici della Cig – a cui se ne aggiungono due ad hoc, uno sudafricano e uno israeliano – da 15 paesi del mondo (restano in carica nove anni e operano in modo indipendente dai rispettivi governi; al momento alla Cig siedono giudici di Stati uniti, Russia, Cina, Francia, Australia, Brasile, Germania, India, Giamaica, Giappone, Libano, Marocco, Slovacchia, Somalia e Uganda).
A DIFFERENZA della Corte penale internazionale che giudica individui ritenuti colpevoli di crimini contro l’umanità, la Cig dirime le controversie tra Stati e le sue decisioni sono vincolanti. Sta qui la natura storica delle udienze che si aprono oggi: se una sentenza completa e definitiva richiederà anni prima di essere emessa, nel caso in cui la Corte ritenga fondata la denuncia (non è tenuta a provare le intenzioni genocidiarie di Israele), può emettere nel giro di poche settimane un ordine immediato di interruzione degli atti che costituirebbero violazioni della Convenzione, ovvero «la cessazione delle operazioni militari a Gaza» e «l’astensione dal compiere atti genocidiari». Nel caso di mancato rispetto dell’ordine della Cig, Israele può essere sottoposto a sanzioni dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite (con il rischio di veto Usa).
Nella sua denuncia di 84 pagine Pretoria elenca e correda di prove quelle che ritiene le azioni strutturali compiute dall’esercito e dalla politica israeliana per «la distruzione di una parte sostanziale» della popolazione palestinese di Gaza: uccisione di massa di civili, sfollamento di massa e distruzione delle abitazioni, incitamento all’espulsione dei palestinesi da parte di rappresentanti del governo, deprivazione di cibo, acqua e medicinali.
Tutti atti che, scrive la delegazione sudafricana, costituiscono il crimine di genocidio e ne dimostrano l’intento. Se i contenuti del rapporto sudafricano sono già noti (e sostenuti ufficialmente da altri paesi), cosa conterrà la memoria difensiva israeliana si scoprirà solo venerdì.
Qualcosa però emerge dalla penna del noto giornalista di Axios, Barak Ravid, che ha visionato un cablogramma del ministero degli esteri israeliano: se Tel Aviv all’Aja si focalizzerà sull’arrivo a Gaza di aiuti umanitari e sulla definizione di «zone sicure» per smontare l’accusa di genocidio, il «grosso» dello scudo difensivo sarà politico. Ovvero un’attività pervasiva, affidata alle proprie ambasciate, di pressioni sui paesi alleati perché spingano la Cig a non emettere alcuna ingiunzione, «una presa di posizione immediata e inequivocabile che dica pubblicamente e chiaramente che IL VOSTRO PAESE rigetta le accuse oltraggiose, assurde e infondate».
IL MINISTERO definisce «obiettivo strategico» il rigetto da parte della Corte della richiesta sudafricana di intervento immediato: non si vuole dimostrare che l’accusa è – ripete in questi giorni Tel Aviv – «immotivata», ma si punta a non giungere a una decisione. Decisione che, si legge nel cablogramma, «potrebbe avere potenziali implicazioni significative che non riguardano solo il mondo legale ma che hanno ramificazioni bilaterali, multilaterali, economiche e di sicurezza».
Israele stavolta è preoccupato. Martedì, con il segretario di Stato statunitense Blinken, il presidente israeliano Herzog ha citato il diritto all’autodifesa contro «un nemico, Hamas, che chiama alla distruzione della nostra nazione, l’unica nazione del popolo ebraico».
Nella denuncia sudafricana c’è anche lui, Herzog, e le sue dichiarazioni successive al feroce attacco di Hamas del 7 ottobre. Tra le altre: «È un’intera nazione là fuori a essere responsabile. Non è vera la retorica dei civili che non sapevano, che non erano coinvolti. (…) Combatteremo finché non gli avremo spezzato la spina dorsale».
PER PRETORIA è una delle tante prove delle intenzioni di punizione collettiva dei palestinesi e della distruzione di Gaza. «Quanti altri civili devono soffrire o essere uccisi perché i governi agiscano? – commenta la direttrice del dipartimento di giustizia internazionale di Human Rights Watch, Balkees Jarrah – La denuncia del Sudafrica sblocca un processo legale alla più alta corte globale che esaminerà la condotta di Israele a Gaza con la speranza di porre fine alle sofferenze».