di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos
Proveremo oggi a dire due cose. La prima è che l’aumento di volatilità degli ultimi giorni non è dovuto solo all’avvicinarsi delle scadenze tecniche trimestrali ma può essere il segnale di una pausa nel rialzo azionario. La seconda è che il rialzo, strutturalmente, ha ancora spazio.
Prima di discutere queste due ipotesi, passiamo in rassegna i vari indicatori macro e di mercato, per vedere a che punto siamo.
Cominciamo dalla crescita. Il primo trimestre si avvia alla conclusione e il modello della Fed di Atlanta la calcola per gli Stati Uniti al 2.5 per cento annualizzato. Un ottimo numero, che indica però una perdita di velocità rispetto ai ritmi torridi della seconda parte dell’anno scorso. Come sempre in questi casi, chi fa la fotografia parla con entusiasmo di Goldilocks, chi invece guarda il film vede una tendenza al rallentamento e la proietta sul resto dell’anno.
Così fa ad esempio l’ex Fomc Randall Koszner, che argomenta la sua idea con i tassi reali, che sono diventati positivi sei mesi fa e stanno gradualmente dispiegando i loro effetti. Quanto al resto del mondo, la crescita si profila simile a quella dell’anno scorso, con modesti miglioramenti in Europa e un impegnativo 5 per cento come obiettivo che la Cina intende raggiungere.
La stessa tendenza si riscontra nell’occupazione. I livelli sono molto buoni (non solo in America) ma qua e là si nota qualche criticità. I dati più recenti confermano che la crescita del numero di impieghi a tempo pieno si è fermata negli Stati Uniti da molti mesi.
I posti in più che vediamo ogni mese sono a tempo parziale, sono coperti da immigrati e sono in prevalenza nel settore pubblico locale, che però sta finendo i fondi speciali che gli furono assegnati durante la pandemia. Il quadro quindi è eccellente in superficie, un po’ meno se si guarda sotto.
La liquidità, dal canto suo, è in espansione. I monetaristi rétro, che da un anno sostengono che gli asset finanziari si devono sgonfiare perché M2 è in contrazione, trascurano la metrica che interessa a bond e azioni, che è la liquidità a disposizione dei mercati.
Questa, calcolata sottraendo ai titoli nel portafoglio della Fed il saldo del conto corrente del Tesoro e i reverse repo, è tornata a salire ed è oggi sugli stessi livelli dei primi mesi del 2022, quando l’indice SP 500 toccò il suo massimo storico (oggi superato). La liquidità è dunque abbondante, al punto che la Fed non ha problemi nel continuare il Quantitative tightening.
Venendo all’inflazione, mentre il mercato continua a ragionare sull’idea di un trend discendente, i pignoli notano che l’inflazione istantanea non scende da otto mesi ed è anzi in crescita da due. L’inflazione salariale, d’altra parte, rimane al 5 per cento, mentre le materie prime hanno ripreso a crescere e le borse ai massimi creano un effetto ricchezza che stimola i consumi. Le politiche fiscali rimangono poi espansive.
Le borse non si preoccupano troppo dell’inflazione e ne vedono anzi il lato positivo, ovvero la crescita nominale di fatturato e utile delle imprese. Ma c’è dell’altro.
Le borse intuiscono da qualche mese che la Fed, pur volendo evitare un nuovo radicamento di una psicologia inflazionistica, cerca d’altra parte di prevenire in tutti i modi un rallentamento marcato dell’economia ed è in più molto attenta (più di quanto non traspaia) alla salute delle banche regionali, in particolare quelle esposte all’immobiliare commerciale.
Questo spiega il silenzio della Fed, finora, sulla riaccelerazione dell’inflazione e l’invio continuo di segnali rassicuranti al Congresso e ai mercati sul taglio dei tassi a giugno. Si noti poi che la ripresa dell’inflazione abbassa il livello dei tassi reali, rendendo quindi meno restrittiva la linea complessiva della Fed.
Sulla base di questi elementi ipotizziamo tre fasi per il resto dell’anno. Nella prima le borse prendono fiato, digeriscono la ripresa dell’inflazione e l’erosione (modesta) dei corsi dei bond lunghi.
Di una pausa c’è bisogno, perché nelle ultime settimane ha cominciato a formarsi non tanto una bolla (gli utili della tecnologia di frontiera continuano a crescere e giustificano i rialzi) quanto una psicologia da bolla, che sarebbe comunque opportuno contenere.
Dopo una pausa ad andamento laterale e con un po’ di volatilità in più, le borse dovrebbero essere in grado di riprendere il rialzo almeno fino alla metà dell’anno. A un certo punto si presenterà però un bivio.
Se la crescita rimarrà brillante anche nella seconda metà dell’anno, vedremo ancora le borse andare meglio dei bond lunghi. Se invece ci saranno segnali di rallentamento, i bond lunghi andranno meglio.
Sono scenari, come si vede, in cui continua ad avere senso mantenere diversificati i portafogli. Certo, in un periodo in cui le regine della tecnologia rendono in un giorno di rialzo quanto rende un bond in un anno di duro lavoro, può esserci la tentazione di buttarsi a capofitto su quei pochi titoli.
Senza nulla togliere alle prospettive di ulteriore crescita di semiconduttori, AI e data center, che devono comunque essere presenti nei portafogli, non va trascurato che la geopolitica non offre un quadro rassicurante, che la crescita potrebbe un giorno rallentare e che monetario e bond offrono comunque un ottimo rendimento.
Oltre all’eventuale rotazione tra borse e bond lunghi, andrà a un certo punto considerata quella verso settori azionari difensivi (in caso di eccessi nei titoli di crescita) o nei ciclici (nel caso la crescita dell’economia si mantenga solida).
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Il Rosso e il Nero – Kairos, che ringraziamo.