di Giuseppe Gagliano
Recenti rivelazioni (WikiLeaks 2008; “Ukraine war: Us spy plane on patrol in Black Sea before sinking of Russian flagship Moskva”, The Times, 20/04/2022) gettano nuova luce sull’entità e la profondità delle relazioni bilaterali tra l’Italia e gli Stati Uniti, mettendo in discussione il concetto di sovranità nazionale della Repubblica Italiana. Al centro di questa controversia – cfr. Limes, 3, 2024 – si trova il Bilateral Infrastructural Agreement (BIA), firmato nel lontano 1954, che disciplina la presenza militare americana in Italia e l’utilizzo congiunto delle infrastrutture, in particolare nelle basi di Vicenza, Napoli, Gaeta e Sigonella.
Alcune fotocopie dell’accordo BIA firmato nel 1954 tra Washington e Roma sono state pubblicate, nonostante la secretazione, nel libro Terza Guerra Mondiale di Luca Ciarrocca. Il saggio indaga anche sulle basi aeree di Ghedi e Aviano dove sono ospitate decine di bombe atomiche americane.
Nonostante l’accordo sia vecchio di decenni, il suo contenuto rimane classificato, alimentando speculazioni e preoccupazioni sul suo reale impatto e significato. Fughe di notizie e documenti trafugati hanno rivelato che gli Stati Uniti hanno interpretato in modo elastico il cruciale articolo 2 dell’accordo, vedendosi conferire la possibilità di utilizzare le basi italiane non solo per impegni NATO, ma anche per operazioni militari non concordate, previa intesa con il governo italiano.
Il rifiuto di Washington, nel 2008, di desecretare il BIA, secondo quanto riportato da WikiLeaks, sottolinea la delicatezza e la complessità delle implicazioni geopolitiche di tale decisione. La motivazione ufficiale – il timore di provocare un’opinione pubblica italiana potenzialmente ostile – nasconde un dilemma più profondo sulla sovranità nazionale e sull’autonomia decisionale in materia di politica estera e di difesa.
Interessante è il ruolo giocato dalla commissione militare congiunta italo-americana, istituita dall’Accordo Shell del 1995, che coordina le operazioni militari implicando un livello di collaborazione e, secondo alcuni, di subordinazione, che va ben oltre la semplice alleanza strategica. Il caso dell’uso di un drone americano partito dalla base di Sigonella per fornire informazioni cruciali all’Ucraina, nel 2022, per l’affondamento della nave ammiraglia russa Moskva, è emblematico. Se confermato, questo episodio suggerirebbe non solo una profonda integrazione militare tra Italia e Stati Uniti, ma anche una potenziale complicità italiana in operazioni belliche non NATO, sollevando questioni significative sulla vera estensione della sovranità nazionale in contesti di alleanze militari complesse.
Questo scenario apre numerosi interrogativi sulla natura delle relazioni internazionali nel XXI secolo, dove gli accordi segreti, le alleanze militari e le operazioni congiunte delineano un panorama geopolitico in cui le linee della sovranità nazionale diventano sempre più sfumate. Ma vediamo di essere più chiari sotto questo profilo.
L’accordo tra Italia e Stati Uniti sull’uso delle basi NATO-USA sul suolo italiano, pur presentandosi come una pietra miliare della cooperazione transatlantica in materia di difesa, solleva una serie di questioni e preoccupazioni critiche sotto il profilo della sovranità, dell’autodeterminazione e dell’impatto geopolitico.
Innanzitutto, l’accordo segnala una compromissione della sovranità italiana, consentendo a una potenza straniera, seppure alleata, di mantenere una presenza militare significativa e potenzialmente intrusiva sul territorio nazionale. Questo solleva interrogativi sulla reale capacità dell’Italia di esercitare il controllo pieno e incondizionato sulle proprie terre e spazi aerei, soprattutto in situazioni di crisi o conflitto in cui le priorità statunitensi potrebbero divergere da quelle italiane.
La relazione che emerge dall’accordo può essere interpretata come una “diplomazia dell’obbedienza”, in cui l’Italia si configura più come un vassallo che come un partner egualitario. Tale dinamica rischia di relegare l’Italia a un ruolo di esecutore di politiche e strategie decise altrove, minando la sua autonomia in materia di politica estera e difesa e riducendo la sua voce nelle arene internazionali.
Dal punto di vista della percezione pubblica, l’accordo alimenta sentimenti di sospetto e di antiamericanismo tra alcuni segmenti della popolazione italiana, preoccupati per le implicazioni di ospitare forze armate straniere sul proprio territorio. Questo può erodere ulteriormente la fiducia nelle istituzioni democratiche, percepite come incapaci o non disposte a difendere gli interessi nazionali.
Paradossalmente, pur essendo motivato da esigenze di sicurezza collettiva, l’accordo potrebbe rendere l’Italia un bersaglio più appetibile e aumentare il rischio di coinvolgimento in conflitti non direttamente legati ai suoi interessi nazionali. La presenza di basi militari straniere sul suolo italiano potrebbe attrarre minacce o rappresaglie da parte di Stati o entità ostili agli Stati Uniti, con conseguenze potenzialmente gravi per la sicurezza del territorio e della popolazione civile italiana.
In conclusione, pur riconoscendo l’importanza delle alleanze internazionali e il valore della cooperazione in materia di difesa, è fondamentale che tali accordi siano bilanciati, trasparenti e rispettosi della sovranità e dell’autodeterminazione dei Paesi coinvolti. L’accordo sull’uso delle basi in Italia, nella sua forma attuale, appare inclinato a favorire gli interessi strategici statunitensi a scapito di quelli italiani, ponendo interrogativi critici sulla reale equità e reciprocità della partnership transatlantica.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato con il titolo “BIA, l’accordo segreto con gli Usa che mette a rischio la sicurezza dell’Italia” da IlSussidario.net, che ringraziamo. Segnalato da Nakatomy.
Sabrina
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Sabrina C.
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https://progeturepublica.net/la-sardegna-ostaggio-di-nato-e-stato-italiano/
Oltre le citate basi in Italia, la Sardegna è considerata una dei centri nevralgici per le esercitazioni Nato.
Siamo in una posizione geografica che consentirebbe in caso di attacco missilistico, di essere, salvo protezione celeste, di essere spazzati via in pochi secondi.
Riporto di seguito un articolo di PROGETU REPÙBLICA.
In principio si è svolta Mare Aperto (13 aprile – 6 maggio), la più grande esercitazione della Marina militare che ha visto impegnate le unità della Squadra navale per oltre tre settimane nelle acque sarde, scenario per cui è stato interdetto un ampio tratto di mare da Costa Rei a Teulada. A bordo delle navi hanno operato militari e civili provenienti da 23 paesi.
Quasi in concomitanza ha preso il via Noble Jump (17 aprile – 12 maggio), esercitazione di guerra organizzata dalla NATO, che ha visto coinvolte truppe italiane, tedesche, norvegesi, olandesi, ceche e lussemburghesi.
Dulcis in fundo, Joint Stars (8 maggio – 26 maggio), qualificata come l’esercitazione più importante della Difesa italiana, diretta e pianificata dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), che vede impegnati più di quattromila uomini e donne e circa 900 tra mezzi aerei, terrestri e navali, con esercitazioni all’aeroporto di Decimomannu, nei poligoni di Teulada e Quirra e nelle zone marittime antistanti.
La Sardegna è occupata da oltre il 65% del demanio militare dello Stato italiano e i due poligoni militari più grandi d’Europa, a Teulada e Quirra; si fa carico ogni anno di un’invasione di uomini e mezzi che non portano nessun beneficio economico, causando invece un danno ambientale e sociale incalcolabile.
Chiedo, che benefici può trarre un’ isola di 1.600.000 abitanti dall’invasione militare, oltre al devastante strascico lasciato dalle scorie e “spazzatura” militare?