Ue: tutti più a destra, cominciando dalla Germania

Troppi segnali di opportunismo e spregiudicatezza, troppe evidenti simpatie per una parte delle destre europee, troppa contiguità con i temi e gli obiettivi di queste ultime, per potersi fidare dell’ambiziosa politica democristiana tedesca.

La conclusione, per ora, del braccio di ferro sui nuovi commissari dell’Unione europea con la generale promozione della squadra di governo voluta dalla presidente von der Leyen conferma che il problema della «maggioranza Ursula» e della sua sostanziale inconsistenza è Ursula stessa.

Troppi segnali di opportunismo e spregiudicatezza, troppe evidenti simpatie per una parte delle destre europee, troppa contiguità con i temi e gli obiettivi di queste ultime, per potersi fidare dell’ambiziosa politica democristiana tedesca e costruirle intorno una solida maggioranza con garanzie di lealtà e funzione di baluardo contro l’avanzata dell’estrema destra in Europa. E infatti la maggioranza è finta e il baluardo, come tutte le estreme linee di difesa, perde pezzi fin dalla sua nascita.

Mentre i Verdi si chiamavano fuori di fronte alla dismissione strisciante del Green deal, socialisti e liberali non si rendevano conto o preferivano fingere di non vedere che il Partito popolare, dopo le ultime e elezioni europee che avevano registrato un avanzamento impressionante delle destre conservatrici e radicali, non era e non sarebbe più stato lo stesso partito.

Del resto lo spostamento verso destra del centro, vecchia tentazione del presidente del Ppe Manfred Weber, era in corso da tempo. Almeno da quando il ritiro di Angela Merkel dalla politica aveva aperto la strada a una revisione profonda nella democrazia cristiana tedesca, l’ammiraglia del centrismo europeo.

Alla testa della Cdu vi è ora quel Friedrich Merz che ha sempre rappresentato una visione antitetica a quella della Cancelliera e per questo era stato tenuto lontano dalle leve più decisive del potere. Piuttosto rapidamente l’eredità di Merkel è stata sospinta ai margini se non del tutto accantonata, mentre dalla Cdu andavano scomparendo i politici democristiani di orientamento liberale che si ispiravano alla sua linea e al suo operato. Nei Länder dell’Est accade perfino che qualcuno di costoro abbandoni del tutto la politica per le pressioni e le minacce ricevute da destra e aggravate dalla scarsa solidarietà del proprio partito.

Inevitabilmente il dopo-Merkel si riflette sul rapporto della Cdu-Csu con la destra, in primo luogo sul piano di una competizione ben più orientata a occupare le tematiche e le argomentazioni stesse della Afd, anticipandole e ripulendole dei tratti più estremi, più che a contrastarle e offrire risposte nettamente alternative a quelle che la destra estrema propone ai timori e al disorientamento dei cittadini tedeschi di fronte alla crisi che ha investito la Bundesrepublik. Ciò che accade in Germania non tarda a ripercuotersi sul quadro europeo e così anche gli smottamenti nella democrazia cristiana tedesca sul Ppe.

Le sinistre e le componenti liberaldemocratiche del Parlamento europeo avrebbero dovuto capire, anche perché la diretta interessata lo aveva più volte chiaramente manifestato, che il secondo mandato di Ursula von der Leyen sarebbe stato del tutto differente dal primo. Espressione di un rapporto di forze decisamente mutato e che non si misura solamente sulla conta dei voti parlamentari.

Il Partito popolare europeo vede oggi alla sua destra un insieme di forze, più omogenee di quanto la loro articolazione voglia far credere, che rappresentano certo un concorrente, ma anche un formidabile strumento di ricatto nei confronti dei suoi interlocutori a sinistra. Un ricatto che può esercitarsi in una duplice maniera: quella di imporre la propria politica moderatamente conservatrice come unica possibilità di sottrarre terreno e consenso alla destra montante e quella di ventilare una possibile collaborazione (fino al cambio di maggioranza) con quella stessa destra.

Due strade solo apparentemente in contraddizione, che configurano quella «trappola Ursula» nella quale socialisti e liberaldemocratici sono caduti, non avendo né alla propria sinistra né altrove qualcosa da opporre. E finendo così col nascondere, come nel caso dell’italiano Pd, la disfatta delle posizioni politiche con il consolatorio ottenimento di una rappresentanza nazionale nella Commissione. Si tratta di un disastroso cedimento alla più sovranista delle interpretazioni della politica europea e dell’ennesimo varco aperto alla destra.
Tutte le carte sono oggi nelle mani del Ppe.

Ma il gioco non è privo di insidie. Tra la destra estrema come concorrente o come possibile alleato esiste una contraddizione. Che nel Partito popolare europeo si riflette nella divisione tra quanti la destra estrema intendono contrastarla e quanti, invece, avvicinarla magari addomesticandola, fino a renderla possibile alleato di governo. Ma non sarà con l’europeismo di maniera, con un atteggiamento timido e remissivo o rumorosamente inefficace che socialisti e liberaldemocratici potranno dare una mano ai primi e quindi anche a sé stessi.

Fonte: Il Manifesto

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