Significative appaiono anche le comparazioni nel rapporto tra aumento delle tasse e mancata crescita economica. La previdenza costa 295,7 miliardi di euro, con una incidenza del 18,3% sul Pil e del 38,5% sulla spesa pubblica corrente.
Nel 2014 la pressione fiscale in Italia è risultata pari al 43,3%, contro una media della Ue a 28 del 40% rispetto al Pil. È il dato riportato nell’annuario Istat, secondo cui “l’Italia è fra i paesi con la pressione fiscale più elevata, superata solo da Finlandia, Svezia, Francia, Belgio e Danimarca che presentano valori superiori al 44%”.
Le pensioni incidono sul 18,3% del Pil
Nel 2014 le prestazioni previdenziali hanno comportato in Italia una spesa di 295,7 miliardi di euro, con una incidenza del 18,3% sul Pil e del 38,5% sulla spesa pubblica corrente. È quanto emerge ancora dall’annuario Istat, secondo cui per il pagamento di pensioni e rendite sono stati spesi circa 257,8 miliardi. La spesa per pensioni e rendite, sottolinea l’istituto di statistica, mostra una continua crescita nel tempo, ma con un rallentamento negli ultimi anni “a seguito delle manovre di contenimento della spesa pubblica”. Dal +2,7% del 2011 si è infatti passati ad un aumento dello 0,9% del 2014. La spesa per indennità di disoccupazione è stata di circa 11,6 miliardi di euro nel 2014. Il tasso di incremento (+2,5%) risulta contenuto, dopo due anni di crescite molto elevate (+11,5% nel 2012 e +19,3% nel 2013). Nelle prestazioni previdenziali sono incluse anche le liquidazioni per la fine del rapporto di lavoro, le indennità per infortuni, maternità e malattia, gli assegni famigliari e di integrazione salariale.
Una famiglia su 5 possiede casa, ma ha un mutuo
Il 71,2% delle famiglie è proprietaria dell’abitazione in cui vive, tra queste hanno un mutuo il 19,3%, quindi quasi una su cinque, rileva l’Istat nell’Annuario statistico, aggiornando i dati al 2014. È in affitto solo il 18,7%, ma si tratta di una percentuale che varia sul territorio: nel Nord Ovest è doppia rispetto alle Isole.
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In Italia pressione fiscale a quota 53,2%, è record del mondo
La pressione fiscale più alta del mondo e un’economia illegale che pesa per 1,7 miliardi di euro. Questa è l’Italia, un tempo sesta o settima potenza industriale mondiale e, ora, costretta a nuotare in una pozzanghera dove rischia di annegare, illudendosi di aggrapparsi allo zero-virgola-qualcosa. La zavorra più pesante si chiama pressione fiscale. Mentre l’urgenza del governo sembra solo concentrata sulla “riforma” del Senato – la Confcommercio ci ricorda sommessamente che paghiamo più tasse al mondo. Nel 2013 l’Italia, al netto del sommerso, è attestata a quota 53,2%, la «vera» pressione fiscale, quella effettiva, perché quella apparente è “solo” del 44,1%. Per fare qualche esempio la pressione fiscale legale in Danimarca è del 51,3%, in Francia del 49,5% e si tratta delle più alte. In Spagna è invece al 37,6%, in Irlanda al 32,5% e negli Usa al 27,7%. Pesa in Italia, più che altrove (altro record mondiale) il sommerso che vale il 17,3% della pressione fiscale.
L’ufficio studi della Confcommercio diretto da Mariano Bella ha voluto aprire il grande e poco conosciuto capitolo dell’economia illegale, spiegando che quando questa entrerà nel Pil direttamente nella parte del sommerso lo stesso prodotto interno lordo sarà destinato a crescere e di conseguenza crescerà anche la quota di sommerso. «La lotta al sommerso economico e all’evasione» si legge nel dossier presentato ieri a Roma «sembra negli ultimi vent’anni, una costante priorità dei governi italiani. Purtroppo i risultati sono deludenti». Il tasso di sommerso da tempo sopra il 17% del Pil è considerato troppo elevato per tutti i partner. Grazie ai nuovi criteri di calcolo internazionali che prevedono l’inclusione dei redditi derivanti dalle attività illegali (prostituzione, narcotraffico e contrabbando) nel Pil, l’Italia si troverà a disposizione circa 1,7 miliardi di euro di maggiori risorse» da poter eventualmente distribuire ai 6 milioni di poveri assoluti.
Significative appaiono anche le comparazioni nel rapporto tra aumento delle tasse e mancata crescita economica. Questo aspetto riguarda (un altro record mondiale?) solo l’Italia dove la pressione fiscale mortifica infatti la crescita. Germania e Svezia (Paese con l’euro il primo e la corona il secondo) mentre riducono le tasse fanno crescere il Pil. In Italia al contrario, dove la pressione fiscale è a livelli abnormi, assistiamo alla depressione del Pil. Quello reale pro capite del periodo pre recessivo (1996-2007) rispetto a quello successivo (2008-2013) in Italia è crollato di 11 punti. Peggio di noi Irlanda, Cipro, Lussemburgo e Grecia.
Le informazioni congiunturali non lasciano spazio all’ottimismo. Oltre al primo trimestre negativo(dati Istat) anche il secondo quarto sarà caratterizzato da variazioni congiunturali attorno allo zero. «Dal settembre 2013 la nostra previsione di chiusura del Pil 2014 – afferma il rapporto – è fissata allo 0,5%, oggi rivediamo questa indicazione al ribasso (+0,3%). Rispetto al previsto, è il peggior andamento degli investimenti a ridurre le attese». Un capitolo moderatamente positivo potrebbe aprirsi per i consumi con aspettative favorevoli indotte per la seconda parte dell’anno dall’effetto chiamato “Renzi più 80 euro” . Tuttavia Confcommercio ammette che «nulla si è visto in concreto (ancora)».
Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, spiega allarmato che senza crescita i problemi «non si risolvono ma si acuiscono. E non si può escludere che a ottobre, per questi motivi, sarà necessaria, come taluni già sostengono una manovra correttiva». Aggiunge che bisogna abbandonare l’idea di nuove tasse. «Le performance del 2014 sono compromesse, non distruggiamo le basi per la ripresa nel 2015». Ieri il viceministro Morando ha ammesso l’enormità della pressione fiscale e ha parlato di «problemi strutturali che non dipendono dalla simpatia del premier». Si attendono ora proposte e atti per abbassare le tasse.
Fonte: Il Tirreno
ronin
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