“I venditori allo scoperto hanno accumulato una scommessa record di quasi 1 miliardo di euro contro le azioni di Telecom Italia, mentre l’amministratore delegato Pietro Labriola cerca il sostegno degli investitori per una vendita di asset per ridurre il debito e per un altro mandato di tre anni al timone”, scrive il Financial Times in un report esclusivo da Milano e Londra.
Mercoledì, secondo i dati di S&P Global, la percentuale delle azioni della società prese in prestito – un proxy per le posizioni corte – era salita al 19,33%.
La scommessa di 930 milioni di euro contro le azioni di Telcom Italia è la più grande in termini percentuali rispetto ai dati risalenti al 2005.
Tra i venditori allo scoperto ci sono il Canada Pension Plan Investment Board e l’hedge fund con sede a Londra Qube Research & Technologies, che scommettono rispettivamente contro lo 0,5% e lo 0,72% delle azioni di Telecom Italia, secondo i documenti depositati mercoledì.
Le scommesse contro il titolo sono quasi raddoppiate da quando gli investitori si sono opposti al piano triennale proposto da Labriola, presentato all’inizio di questo mese.
Comprende la vendita della rete fissa del gruppo al gruppo di private equity statunitense KKR, per ridurre il debito netto da 20 miliardi di euro a circa 7 miliardi di euro entro il 2026. Gli analisti si aspettavano che il debito scendesse più rapidamente.
La presentazione del piano ha provocato un crollo del prezzo delle azioni del 24% il 7 marzo, lasciando gli analisti scettici e danneggiando la credibilità di Labriola.
Il maggiore azionista di Telecom Italia, la conglomerata francese Vivendi, si oppone alla vendita della rete.
Secondo la legge europea, le posizioni corte del valore superiore allo 0,5% del capitale azionario di una società devono essere comunicate al mercato.
Il fatto che solo due fondi abbiano posizioni superiori alla soglia di divulgazione indica che un numero relativamente elevato di gestori ha scommesso contro l’impresa.
I venditori allo scoperto guadagnano prendendo in prestito azioni e poi vendendole, prima di riacquistarle a quello che sperano sia un prezzo inferiore e poi intascare la differenza. CPPIB e Qube hanno rifiutato di commentare.
Fonte: Financial Times