Boomerang? Autogol? Alla fine, quel che importa è che il conto delle ripetute strette monetarie è stato presentato anche alla Bce. Ed è un conto salato che va a macchiare una fedina contabile quasi immacolata, a causa di quella perdita di quasi 1,3 miliardi (1,266 per la precisione) iscritta nel bilancio 2023. Nella storia dell’Eurotower, il «rosso» era comparso una sola volta, vent’anni fa, ai tempi della presidenza Jean-Claude Trichet. Allora la colpa era stata attribuita all’euro forte; ora il colpevole è facilmente individuabile nei 450 punti di rialzo dei tassi che dal luglio del ’22 hanno determinato una netta sterzata della politica monetaria di Francoforte.
Nulla di inaspettato, peraltro, visto che già lo scorso anno i conti si erano chiusi in pareggio solo grazie all’utilizzo degli accantonamenti. Un’opera di imbellettamento che questa volta non è stato possibile replicare nonostante la banca guidata da Christine Lagarde abbia dato fondo interamente alle proprie riserve, pari a 6,6 miliardi.
Troppo elevata la spesa per interessi, ben 7,193 miliardi, per riuscire a colmare del tutto il buco e per poter erogare dividendi alle banche centrali dell’eurosistema. Quasi una beffa del destino nel momento in cui i singoli istituti di credito, gonfi di utili proprio grazie ai giri di vite al costo del denaro, si preparano a remunerare lautamente gli azionisti.
Del resto, le scelte fatte hanno un costo perché poi si riverberano sotto il profilo contabile, come già dimostrato dalla Bundesbank e dalla Banca Nazionale Svizzera. E se ora la Bce si lecca in qualche modo le ferite per i colpi che si è inferta da sola, val la pena di spiegare il motivo di tali perdite.
Per farlo, occorre risalire appunto agli oltre sette miliardi di spesa per interessi, quelle che tecnicamente si chiamano passività Target 2 e sono generate nel momento in cui Francoforte acquista titoli dalle altre banche centrali di Eurolandia. In seguito agli irrigidimenti monetari, questi interessi passivi sono saliti al 3,8% in media (dallo 0,6% del 2022) poiché sono agganciati al cosiddetto Mro, ovvero il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali; contestualmente, il rendimento dei titoli in pancia alla Bce è cresciuto, ma non abbastanza (a 3,4 miliardi, dagli 1,5 dell’anno prima) per pareggiare ameno i conti.
Naturalmente, nulla cambia ai piani alti della Bce, dove con un comunicato si rassicura che le perdite subite non hanno «alcun impatto» sulla «capacità (della banca, ndr) di condurre una politica monetaria efficace». Nè, al momento, sembrano esserci le condizioni che renderebbero inevitabile un aumento di capitale.
Il focus resta quindi concentrato sul processo disinflazionistico «più rapido del previsto», come si legge nei verbali dell’ultima riunione e come confermato ieri dall’Eurostat (in gennaio -0,4% mensile e +2,8% annuo nell’eurozona, +0,3% e +0,8% in Italia), ma non ancora sufficiente per abbandonare la postura rigida.
Con un effetto collaterale: più a lungo sarà mantenuta, e più ne soffriranno i conti di Francoforte. Che per prima ammette di aspettarsi altre perdite nei prossimi anni, pur se inferiori a quelle del 2023. Anche se la scure calerà sui tassi, le macchie di rosso non saranno smacchiate tanto in fretta dai bilanci della Bce.
Fonte: Il Giornale