(WSC) LONDRA – Martedì l’euro è sceso al livello più basso degli ultimi vent’anni rispetto al dollaro USA. Quali sono le implicazioni per ciascuno di noi e per i mercati?
Negli ultimi mesi la Federal Reserve statunitense (la Fed) e la Banca centrale europea (la BCE) hanno adottato due approcci molto diversi rispetto alla grana esplosa con fragore, l’inflazione. La Fed ha scelto di aumentare i tassi dell’1,5% quest’anno e i mercati prevedono un ulteriore aumento dello 0,75% entro la fine del mese. La BCE, invece, sta adottando un approccio super-soft: la banca centrale Ue – guidata dalla pessima Christine Lagarde, che non è una banchiera – non ha ancora iniziato ad aumentare i tassi e una serie di dati economici deboli ha fatto scommettere agli operatori che li aumenterà solo dell’1,4% quest’anno, quando lo farà.
Questa divergenza ha avuto un effetto a catena sulle valute dei rispettivi blocchi economici (USA e Ue), poiché la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti rende il biglietto verde più attraente per gli investitori internazionali.
Detto fatto: l’euro è sceso al suo livello più debole rispetto al dollaro USA dal 2002 e l’analisi di Bloomberg suggerisce che ora c’è il 60% di possibilità che raggiungano la parità entro la fine dell’anno (ma secondo alcuni analisti del Forex molto prima, forse anche OGGI).
Di cosa bisogna preoccuparsi?
Questa dinamica sul valutario ha ripercussioni innanzitutto quando le aziende statunitensi comunicheranno i loro utili trimestrali nelle prossime settimane. Da un lato, il rafforzamento del dollaro rende le importazioni europee più convenienti, riducendo i costi delle aziende su questo fronte. Ma rende anche le esportazioni delle aziende statunitensi più costose per i loro clienti europei, il che significa che rischiano di perdere affari a favore di rivali più economici. Inoltre, tutte le aziende statunitensi con una grande presenza in Europa – si pensi a Coca-Cola e Ford – si troveranno con un valore inferiore delle vendite una volta riconvertite in dollari.
Per noi italiani – a parte un’inflazione al 9%, cioè ai massimi di 40 anni e alle possibili conseguenze negative di una recessione in agguato – non cambia sostanzialmente nulla, sul fronte valutario.
L’euro alla parità con il dollaro potrebbe modificare i piani di vacanza a seconda se si sia da una parte o dall’altra dell’Atlantico. Per gli americani che vogliono viaggiare in Europa, questo è il momento giusto: otterranno molto di più per ogni dollaro speso dalle nostre parti, per alberghi, ristoranti, shopping. Ma per noi europei con gli euro in tasca che vogliamo visitare gli Stati Uniti, un viaggio costerà molto più caro rispetto a due anni fa.