(WSC) HONG KONG – Gli enti regolatori del mercato azionario hanno bloccato la doppia quotazione a Shanghai e Hong Kong, con la più grande IPO del mondo, ritardando il debutto al trading di Ant Group.
La quotazione delle azioni di Ant Group sullo Star Market di Shanghai e sulla borsa di Hong Kong, originariamente prevista per il 5 novembre, sarà temporaneamente sospesa, hanno detto gli enti che gestiscono le operazioni sulle due borse.
Il contesto economico in cui opera la più grande società Fintech del mondo ha subito “cambiamenti significativi”, ha affermato la Borsa di Shanghai.
IPO Ant Group, chiuso il collocamento. Mastonditiche le richieste, oltre $3 trilioni
Si apre quindi un giallo nella più grande offerta pubblica iniziale nella storia della finanza globale, con la parola fine al debutto previsto il 5 novembre delle azioni di Ant Group appena 48 ore prima dell’inizio del tanto atteso IPO.
Secondo quanto scrive il South China Morning Post (Ant Group è un’affiliata di Alibaba Group Holding, proprietaria anche del giornale) “un incontro all’inizio di questa settimana tra gli alti dirigenti di Ant Group e le principali autorità di regolamentazione del mercato finanziario cinese ha preso atto di un ‘cambiamento significativo’ nel contesto normativo, che potrebbe portare la società Fintech a non soddisfare i requisiti di quotazione o le regole di disclosure della borsa”, secondo una dichiarazione dell’autorità di borsa di Shanghai.
Shanghai, Hong Kong delay first-day trading of Ant Group’s shares
Con la IPO la società puntava a raccogliere $39,67 miliardi nella più grande offerta pubblica iniziale del mondo. Il primo giorno di negoziazione delle azioni A di Ant Group a Shanghai e delle azioni H a Hong Kong sarà posticipato, hanno affermato i due operatori di borsa in dichiarazioni separate, senza dire quando inizieranno le negoziazioni.
Quattro organismi di regolamentazione cinesi, guidati dalla People’s Bank of China, hanno tenuto un incontro ieri con i massimi dirigenti di Ant Group, tra cui il co-fondatore Jack Ma, il presidente esecutivo Eric Jing e l’amministratore delegato Simon Hu, secondo l’autorità di regolamentazione dei valori mobiliari, senza elaborare sullo scopo o sul contenuto della riunione.
L’incontro includeva anche rappresentanti della China Banking and Insurance Regulatory Commission, della China Securities Regulatory Commission e dell’Amministrazione statale dei cambi (SAFE), l’ente di regolamentazione del settore valutario.
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Cosa può essere emerso di tanto grave da spingere le autorità di controllo delle Borse di Shanghai e Hong Kong a sospendere quella che si presentava come l’Ipo del secolo, a sole 48 ore dal collocamento e con controvalori già raggiunti da capogiro?
Come un fulmine a ciel sereno, infatti, dalla Cina è giunta la notizia rispetto la sospensione dallo sbarco di Ant Group, sussidiaria fintech del gruppo Alibaba, previsto per il 5 novembre, dopo che i regolatori del Dragone hanno convocato e interrogato il patron del gruppo Jack Ma, il direttore esecutivo Eric Jing e il Ceo, Simon Hu.
Laconico il comunicato: “Dal colloquio sono emerse criticità significative”, di fatto una formula normalmente utilizzata per identificare una condizione di non raggiungimento requisiti minimi di trasparenza rispetto alle informazioni finanziarie necessari per procedere al collocamento.
Di fatto, un terremoto. Per più di una ragione.
- Primo, come mostra la tabella, quella di Ant Group si era realmente posta in cima alla top ten assoluta delle Ipo a livello globale, una performance capace di polverizzare il precedente record fissato non più tardi dello scorso inverno da un altro collocamento del secolo, quello della saudita Aramco.
- Secondo, l’Ipo della holding facente capo a Jack Ma era già andata in sovra-iscrizione con una ratio di circa 284x (oltre 76 miliardi di titoli sottoscritti da parte di investitori istituzionali, quella che in gergo viene definita la real money), portando la valutazione del gruppo a qualcosa come oltre 320 miliardi di dollari e il nuovo capitale raccolto dal collocamento addirittura a 34,5 miliardi di dollari.
In più, il contesto generale si sostanziava sulla carta come una clamorosa prova di forza del regime cinese proprio nel playground preferito dell’America e da Wall Street: il comparto tech. Stando a quanto riportato dal South China Morning Post in base a dati ufficiali, infatti, la sola Huatai International – braccio operativo a Hong Kong della quarta securities house cinese – nelle scorse settimane aveva prestato denaro a clientela retail intenzionata a investire nell’Ipo con una leva di 33x: ovvero, basta porre a deposito 3 dollari di Hong Kong per ogni 100 che si ricevono al fine dell’investimento.
E non basta, perché se banche e broker operanti nell’ex colonia stavano offrendo margin loans da record per un controvalore di 300 miliardi di dollari di Hong Kong (circa 38,7 miliardi di dollari Usa), la britannica Hsbc aveva addirittura operato con una lending capacity in tempo reale pari a 100 miliardi di dollari di Hong Kong per “supportare” la sottoscrizione di investitori retail.
- Terzo, la febbre era tale da aver dato vita a un qualcosa di senza precedenti, proprio nelle ultime ore prima del clamoroso annuncio. Come riportato da Bloomberg, infatti, la domanda per i titoli di Ant Group era talmente alta da aver spinto alcuni investitori istituzionali ad acquistarle a un premio di maggiorazione del 50% sul cosiddetto grey market, spedendo la valutazione del titolo fino a 120 dollari di Hong Kong (15,50 dollari Usa) rispetto a prezzo di collocamento di 80 dollari.
Di fatto, l’assicurazione di un boom delle quotazioni al momento del debutto a Shanghai e Hong Kong. “Quanto sta accadendo è di proporzioni enormi: la più grande Ipo di sempre e al massimo della forchetta di valutazione, fin da principio. Ora, poi, questo grosso premio prezzato dal grey market. Parliamo di un evento straordinario, sia visto lo sfondo di incertezza globale in cui va stagliandosi, sia perché mostra plasticamente come l’Asia sta ormai operando in netta divaricazione e autonomia dagli Stati Uniti”, sosteneva Gary Dugan, chief executive officer della sede di Singapore della Global CIO. “L’infatuazione del mercato per questo tipo di titoli è molto forte al momento, visto che parecchi investitori scommettono che l’economia interna cinese sarà comunque al riparo da un eventuale ritorno della guerra tariffaria con gli Usa. Non è quindi sorprendente del tutto che nel caso di Ant Financial la domanda sia così alta rispetto all’offerta”, sentenziava Arnout van Rijn, chief investment officer per l’Asia-Pacifico presso Robeco.
- Quarto, al netto dei numeri record dell’Ipo, paradossalmente ormai destinati a essere battuti in maniera ciclica in tempi di bilanci della Banche centrali fuori controllo, questo altro grafico sintetizza l’intera situazione.
E il potenziale cavallo di Troia che qualcuno vedeva preparato proprio da Pechino – fresca di plenum strategico del Partito comunista – con timing finanziario e strategico pressoché perfetto rispetto all’appuntamento elettorale Usa: gli investitori esteri avevano fatto fluire finanziamenti a pioggia verso Hong Kong in vista del collocamento. Solo dal 14 settembre al 30 ottobre si parla di qualcosa come oltre 252 miliardi di dollari di Hong Kong, una messe di liquidità tale da aver costretto la Hong Kong Monetary Authority, di fatto la Banca centrale dell’ex colonia britannica, a intervenire 50 volte per cercare di raffreddare il rafforzamento della valuta domestica. Insomma, l’Occidente stava inondando Hong Kong di finanziamento per il semplice motivo che la Cina aveva apparentemente capito quale fosse il metodo migliore al fine di evitare carenze di dollari che potessero far grippare il proprio sistema finanziario, a perenne propensione di bolla ed esposizione sistemica alla leva: garantire a chi investe di fare sempre soldi facili e sicuri, quantomeno nel breve periodo, attraverso collocamenti record. I quali, stante il quantitativo di aziende in predicato di dar vita a Ipo sul mercato del Dragone e il sostegno in tal senso della Pboc (la Banca centrale), potrebbero in linea teorica essere all’ordine del giorno per i prossimi anni, se Pechino intendesse perseguire la strada dell’apertura tout court del proprio mercato (con un occhio in tal senso anche al Wto e alla classificazione di status della propria economia).
Insomma, l’Ipo della sussidiaria fintech di Alibaba rappresentava qualcosa più del collocamento più grande e ricco di sempre: un’arma geopolitica in forma di assicurazione sulla vita, poiché in grado di mettere al riparo Hong Kong da eventuali attacchi speculativi attraverso il drenaggio di biglietti verdi dal suo mercato.
Poi, lo stop inaspettato. E l’annuncio di sospensione. Destinato ad avere pesanti ripercussioni a livello globale, visto il fall-out sull’intero comparto dei collocamenti provocato dal forfait forzato di WeWork lo scorso anno e il clima da incombente nuovo congelamento del business a causa dell’aggravarsi della seconda ondata di pandemia.
Inoltre, le cifre in campo sono in grado di creare danni nell’immediato, quantomeno se i risvolti che hanno portato i regolatori cinesi a intraprendere una decisione simile non fossero chiariti in tempi record.
C’è però un’altra vulgata interpretativa che sta prendendo piede, molto più politica che meramente legata ad ambiti finanziari o di regolamentazione. Come ricordava il Financial Times, infatti, a fine ottobre Jack Ma aveva criticato pesantemente le banche a controllo statale del suo Paese nel corso di un summit finanziario proprio a Shanghai, parlando di “mentalità da banco dei pegni” cui l’Ant Group contrapponeva un approccio innovativo che garantisse l’estensione del credito anche ad aziende innovative ma a corto di collaterale.
Nel corso del medesimo simposio, però, il vice-presidente cinese in persona, Wang Qishan, enfatizzò invece l’importanza della stabilità finanziaria: “Deve esserci un bilanciamento serio fra l’incoraggiamento dell’innovazione finanziaria, il rafforzamento del mercato, l’apertura del settore al mondo e la costruzione di una capacità di regolamentazione. Ma la sicurezza viene sempre al primo posto“.
E se in tempi di sempre crescente scetticismo rispetto a un mercato totalmente svincolato dai fondamentali e basato pressoché unicamente sulla manipolazione dei valori in gioco operata dalla liquidità a pioggia delle Banche centrali, la Cina ragionasse sul medio-lungo termine e volesse mostrare al mondo la sua faccia rigorista e da player che gioca secondo le regole, nonostante i costi che sulla carta questo potrebbe comportare?
La breve distanza temporale intercorsa fra plenum del Partito comunista e questa decisione clamorosa lascia aperta più di un’interpretazione, persino le più estreme. E lo scontro – seppur indiretto – fra Jack Ma e il secondo uomo più potente del Paese sull’importanza esiziale per il Paese della stabilità finanziaria, potrebbe essere costato al patron di Alibaba una pesante scomunica.
La Cina come grande attore globale del rinnovato fair play finanziario e del rigore regolamentare: il 2020 sta veramente facendo nevicare all’inferno.