All’ordine del giorno il braccio di ferro con Angela Merkel: la Germania potrebbe mettere nell’angolo l’Italia su vari fronti: debito pubblico, Bce e lotta Draghi/Weidmann, Fiscal Compact e tutti i migranti nella penisola con Roma fuori dal post-Schengen.
Secondo indiscrezioni circolate a Roma e raccolte dalla rete TV Class/Cnbc, sarebbe in corso a Roma a Palazzo Chigi una riunione di emergenza del governo, a cui partecipano il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Mi,istro dell’Economia Piercarlo Padoan. Oggetto del meeting: le condizioni dell’economia italiana, che stenta a ripartire, e la patrimonializzazione del sistema bancario del paese, secondo alcuni parametri molto debole rispetto alle richieste e griglie di Bruxelles e Bce. Oggi le banche italiane sono state prese di mira dalle vendite in borsa, a Piazza Affari la speculazione estera sembra voler scrivere lo stesso ruolo giocato nell’estate/autunno 2011 nei giorni caldi che precedettero la caduta del governo Berlusconi.
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Dopo gli antipasti, cioè l’attacco alla Germania durante il summit europeo e le schermaglie con Juncker sulla flessibilità, ci si avvicina al piatto forte: il 29 gennaio, quando Renzi sarà ricevuto a Berlino dalla Merkel.
La Cancelliera farà capire al premier bulletto che l’Italia può fare la voce grossa quanto gli pare, ma che le le sue minacce non contano nulla. A differenza della Gran Bretagna e del suo ricatto-Brexit, l’Italia ha un debito pubblico che è oltre il 130% del Pil, una crescita debole e nessun margine di manovra sui conti.
L’uscita dell’Italia sarebbe un disastro per l’Unione, ma per noi sarebbe la fine: senza la copertura della Bce, le nostre banche salterebbero una dopo l’altra, e i titoli di Stato, ormai detenuti quasi tutti in casa, diventerebbero carta straccia. Per questo Angelona dirà a Matteuccio che o torna ad allinearsi (leggi: ubbidire) con Francia e Germania, oppure dovrà prepararsi a una serie di bastonate.
E’ solo grazie all’intervento della Merkel, infatti, che Draghi ha potuto dare inizio al ‘Quantitative Easing’. E’ stata lei a costringere in ritirata Weidmann e i falchi della Bundesbank, impedendogli di far fronte comune con i paesi del Nord Europa (Finlandia, Paesi Bassi) per impedire alla BCE di inondare il mercato di moneta a buon mercato.
Sono molti i punti su cui la Merkel può ”fare male” a Renzi. Innanzitutto richiedendo il rispetto del Fiscal Compact, firmato da Monti nel 2012, che imporrebbe al governo di tagliare il debito pubblico del 3,5% ogni anno (obiettivo irrealizzabile, con questi livelli miseri di crescita e inflazione); con l’imposizione di titoli di stato subordinati, che Weidmann vuole far emettere ai paesi del Sud Europa per punire i loro risparmiatori in caso di crisi economica;
facendo pressione sulla Commissione per bocciare la legge di Stabilità italiana, al momento sotto scrutinio di Bruxelles (a marzo il verdetto); infine tarpando le ali a Draghi sull’ampliamento del QE, da lui più volte annunciato e mai messo in atto, dando un ulteriore colpo ai Paesi che puntano sulla sua politica monetaria espansionistica.
Infine, anche sulla questione dei migranti la Germania ha parecchie armi da giocare: l’ipotesi di una Mini-Schengen che racchiuda solo cinque Stati (Belgio, Austria, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi), obbligherebbe finalmente la Grecia e l’Italia a fare controlli durissimi (e molto costosi) sui migranti in entrata nel loro Paese.
Finora, chi è arrivato dal Mediterraneo ha avuto di fatto libero accesso all’Europa del Nord: voi non ci date soldi e uomini per pattugliare i mari, e noi lasciamo passare tutti verso le vostre frontiere. Se davvero si creasse una barriera nei paesi più ambiti dai migranti, centinaia di migliaia si ammasserebbero in quelli più a Sud, una bomba politica che scoppierebbe in mano al bullo fiorentino.
(Segnalato da Nakatomy)
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Come in un dialogo del teatro di Eugène Ionesco, i personaggi si parlano ma non si ascoltano. La loro conversazione segue percorsi che non s’ incrociano mai. Poco importa che una maggiore attenzione al contesto e alle motivazioni degli altri aiuterebbe forse (anche) l’ Italia a promuovere meglio le proprie priorità a Bruxelles. In particolare, due fattori sembrano sfuggire al dibattito interno al Paese sulla finanza pubblica e la natura delle regole europee. Il primo è che, mentre esamina i conti di questo governo, la Commissione Ue si trova essa stessa sotto esame e oggi è nelle condizioni peggiori per poter ignorare le norme delle quali è l’ arbitro.
Ma l’ altro ingrediente ha implicazioni anche più profonde per l’ Italia: nel governo tedesco la fiducia nel «Fiscal compact» europeo è ormai scesa ai minimi, esattamente per ragioni opposte a quelle sostenute dal premier Matteo Renzi. Invece che troppo stringente, viene considerato di fatto fallito. La Commissione Ue non può permettere a nessun Paese di derogare troppo platealmente alle regole di risanamento del Fiscal compact, neanche se volesse, perché la sua credibilità è messa sempre più in discussione in Germania. La Bundesbank e il ministero delle Finanze tedesco parlano ormai apertamente dell’ esigenza di togliere il ruolo di guardiano del Fiscal compact all’ esecutivo di Jean-Claude Juncker e affidarlo a un nuovo organismo. L’ obiettivo è sottrarre la vigilanza sui conti ai negoziati e alle pressioni dei governi, e affidarlo a un’ autorità puramente tecnica. Toccherebbe poi ai ministri finanziari nell’ Eurogruppo confermare o meno i giudizi proposti dal nuovo arbitro indipendente.
Il messaggio per Juncker è dunque chiaro: se permetterà che certi Paesi ignorino le norme di bilancio, da Berlino si premerà per sottrargli poteri e rilevanza. La prima conseguenza è che i margini per un mercato politico dei favori fra Bruxelles, Roma e qualunque altra capitale sono sempre più stretti. C’ è però anche l’ altro problema: né Berlino né Francoforte (sponda Bundesbank) credono più nell’ efficacia del «Fiscal compact». I principali governi lo disattendono. La Francia sta entrando nel club dei Paesi con un debito pubblico attorno al 100% del Prodotto interno lordo; l’ Italia, quantomeno, non fa tutto ciò che potrebbe per farlo scendere. Di qui la proposta del presidente della Bundesbank Jens Weidmann (riferita sul Corriere il 15 agosto scorso) che già da allora era fatta propria dal governo di Berlino: creare di fatto obbligazioni subordinate anche per gli Stati, soggette all’ azzeramento o a una sforbiciata sul valore a danno degli investitori. Berlino propone di applicare ai governi indebitati regole simili a quelle già in vigore per le banche.
In caso di nuove tensioni sul debito e ricorso al fondo salva-Stati (Esm), per esempio, un governo smetterebbe di rimborsare i creditori e di versare gli interessi sui propri titoli di Stato per la durata del programma. Come per le banche, l’ obiettivo della Germania è far pagare ai creditori almeno parte delle crisi di debito e ridurre così il peso finanziario dei salvataggi.
Leggi anche: “Rimetti a noi i nostri debiti”
Non si tratta di una manovra tattica senza effetti pratici. In centri studi come Bruegel a Bruxelles e fra gli economisti più qualificati, l’ ipotesi di una classe di titoli di debito pubblico subordinati viene discussa ormai in dettaglio. Per i tedeschi alzare un argine contro il rischio di dover pagare per una nuova crisi nel Sud Europa, a torto o a ragione, è ormai una priorità. Poco importa che introdurre titoli di Stato subordinati alzerebbe subito il costo di finanziamento per il governo e le banche italiane, o che aumenterebbe i rischi per i risparmiatori. Facile dunque immaginare che effetto fa ogni segnale da Roma di voler rimettere in discussione le regole di bilancio: accelerare la pressione dei tedeschi a proteggersi, recidere i legami, e procedere un po’ più in là verso la frammentazione finanziaria di Eurolandia.
di Federico Fubini
Fonte: Corriere della Sera
Nakatomy
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Redazione Italia.co siete dei grandi :)))) Grazie
Renzi nella foto : Dice : calma ragazzi – la situazione è sotto controllo :))))))))