Niente spending review sul bilancio pubblico: nei prossimi quattro anni le uscite dalle casse dello Stato cresceranno sempre, con un incremento complessivo di oltre 22 miliardi di euro. La spesa pubblica passerà dagli 826 miliardi del 2015 ai quasi 849 del 2019. Prevista una impennata per le uscite correnti di 34 miliardi e per le pensioni di 20 miliardi, mentre verranno ridotti gli investimenti pubblici di quasi 7 miliardi e si registrerà un risparmio sul fronte della spesa per interessi sul debito superiore a 4 miliardi: il tesoretto dello spread verrà dunque utilizzato per finanziare gli sprechi.
È quanto emerge da un’analisi realizzata dal Centro studi di Unimpresa sul Documento di economia e finanza (Def) approvato venerdì dal consiglio dei ministri e diffuso ufficialmente sabato. Secondo l’analisi del’associazione, la spesa pubblica, che nel 2015 si è attestata a quota 826,2 miliardi, arriverà a 828,7 miliardi nel 2016, a 830,06 miliardi nel 2017, a 837,7 miliardi nel 2018 e a 848,9 miliardi nel 2019. In totale è dunque previsto un incremento di 22,6 miliardi (+2,74%) rispetto allo scorso anno. Sono destinate a salire le uscite correnti (ovvero la spesa per stipendi dei dipendenti pubblici oltre che per appalti relativi a servizi e forniture): si passerà dai 691,2 miliardi del 2015 ai 701,4 miliardi del 2016 ai 704,5 miliardi del 2017 ai 712,3 miliardi del 2018 ai 725,3 miliardi del 2019: in totale l’incremento sarà di 34,09 miliardi in salita del 4,93% sullo scorso anno.
In questo ambito, tra il 2016 e il 2019, salirà in particolare la spesa per le pensioni di 20,5 miliardi (+7,95%); la voce legata alla previdenza si è attestata a quota 258,8 miliardi nel 2015 e salirà a 261,6 miliardi nel 2016, a 264,9 miliardi nel 2017, a 272,2 miliardi nel 2018 e a 279,3 miliardi nel 2019.
MENO INVESTIMENTI E TESORETTO SPREAD USATO PER “FINANZIARE GLI SPRECHI” – Nei prossimi quattro anni caleranno gli investimenti pubblici di 6,9 miliardi (-10,47%): la spesa in conto capitale, che nel 2015 si è fermata a 66,7 miliardi, si attesterà a 60,3 miliardi nel 2016 e nel 2017, passerà a 61,3 miliardi nel 2018 e scenderà a 59,7 miliardi nel 2019. Sul versante della spesa per interessi sul debito, è previsto un risparmio, frutto del calo dello spread (differenziale di rendimento tra titoli italiani e titoli tedeschi), di 4,4 miliardi complessivi (-6,48%): su bot e btp, nel 2015 sono stati pagati interessi per 68,4 miliardi, voce che calerà a 66,7 miliardi quest’anno, a 65,1 miliardi nel 2017 e a 64 miliardi nel biennio successivo. Il tesoretto dello spread, dunque, verrà sostanzialmente utilizzato per coprire parte dell’incremento delle uscite correnti, voce del bilancio pubblico dove si annidano gli sprechi.
FISCO, STANGATA DA 71 MILIARDI – Quando alle entrate, è prevista una stangata fiscale da oltre 71 miliardi di euro tra il 2016 e il 2019. Nei prossimi quattro anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 855 miliardi rispetto ai 784 del 2015. Secondo l’analisi dell’associazione, nel 2016 le entrate nel bilancio pubblico si attesteranno a 789,4 miliardi, mentre nel 2017 arriveranno a 805,4 miliardi; nel 2018 si toccherà quota 831,9 miliardi e nel 2019 a quota 855,7 miliardi. Complessivamente il maggior aggravio fiscale su famiglie e imprese sarà pari, nel quadriennio in esame, a 71,4 miliardi con un aumento del 9,15% rispetto ai 784,04 miliardi incassati dallo Stato nel corso del 2015. Aumenteranno sia le imposte dirette sia le imposte indirette: nel primo caso il governo stima una crescita di 11,8 miliardi (+4,90%); nel secondo caso è previsto un aumento di 33,3 miliardi (+13,39%). In totale, le entrate tributarie passeranno dai 492,7 miliardi del 2015 ai 537,7 miliardi del 2019 (2016: 495,1 miliardi; 2017: 510,2 miliardi; 2018: 525,2 miliardi). La pressione fiscale resterà sostanzialmente invariata. Rispetto al 43,5% del 2015, il governo prevede di chiudere quest’anno al 42,8% e il 2017 al 42,7%; nel 2018 nuova salita al 42,9%, livello che sarà confermato nel 2019.
LONGOBARDI: GOVERNO NON CAMBIA VERSO – “Con questo documento di economia e finanza il governo di Matteo Renzi certifica quello che ormai sappiamo da tempo: non c’è lotta agli sprechi nel bilancio pubblico, non vengono ridotte le tasse a famiglie e imprese. Insomma, il governo non cambia verso” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
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Gli italiani preferiscono anche i micro pagamenti con le carte
Il 79% degli italiani è d’accordo con l’obbligo di accettare i pagamenti con carte elettroniche senza alcun limite di importo. La Legge di Stabilità 2016, che ha esteso l’obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti con carte di credito o debito senza limiti di importo, permetterà anche in Italia di pagare il caffè al bar o di acquistare il biglietto dei mezzi pubblici con il bancomat. In attesa dei decreti attuativi, Jusp (www.jusp.com), società italiana specializzata nel mobile commerce, ha commissionato a Doxa una ricerca per indagare l’attitudine degli italiani verso queste nuove normative sui sistemi di pagamento elettronici. Dalla ricerca emerge che gli italiani prediligono di più l’utilizzo di carte elettroniche per effettuare pagamenti quotidiani, come la spesa al supermercato, e con una frequenza di utilizzo elevata nell’arco della settimana. In particolare, si attesta che il 73% degli italiani utilizza le carte elettroniche come strumento di pagamento: il 35% del campione dichiara di usarle con una frequenza di almeno 3-4 volte alla settimana e il 38% fino a 2 volte in sette giorni. Per quanto riguarda la nuova normativa, non ci sarà più il tetto dei 30 euro sotto il quale il commerciante poteva rifiutarsi di accettare il pagamento elettronico; inoltre, i negozianti ed i professionisti dovranno mettersi in regola e dotarsi di Pos per accettare gli incassi con carte. In caso contrario, tutti gli esercenti che si rifiuteranno di accettare i pagamenti con questa modalità, saranno sanzionati.
A questo riguardo, la ricerca Doxa evidenza come il campione degli intervistati che prediligono le carte alle banconote condivide le disposizioni previste dalla Legge di Stabilità 2016. Dalla ricerca emerge che ben il 79% degli utilizzatori è d’accordo con l’obbligo di accettare i pagamenti con carte elettroniche senza alcun limite di importo: per il 39% la legge di stabilità 2016 rappresenta una misura di libertà per i clienti che non desiderano usare le banconote, il 26% è d’accordo e la ritiene una normativa che ci allinea con il resto dell’Europa e, infine, il 14% è favorevole, anche se è dell’opinione che gli esercenti ed i professionisti non la rispetteranno. All’interno del segmento degli alti utilizzatori di carte, l’accordo con l’obbligo sale addirittura all’85% del totale. Per quanto riguarda, invece, l’applicazione di sanzioni agli esercenti ed i professionisti che non si adeguano alla normativa, rifiutando i pagamenti con le carte, dalla ricerca emerge che quasi due terzi degli utilizzatori, precisamente il 64%, è favorevole all’applicazione di sanzioni. Sul tema delle sanzioni, non si riscontrano particolari differenziazioni tra i vari segmenti di popolazione, sia per età sia per genere, con una accettazione uniforme a tutti i livelli.
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Così il Fisco ha incassato 300 milioni con una lettera
Per la prima volta viene messo nero su bianco l’introito della compliance. Il temine tecnico indica l’adempimento spontaneo dei contribuenti.
Per convincerli a regolarizzare la propria posizione l’Agenzia delle Entrate ha spedito a tutti un aletterina (ne ha mandate in tutto 220mila) in cui gli intimava di sistemare la dichiarazione dei redditi. In 105mila l’hanno fatto facendo entrare nelle casse dello Stato 300 milioni di euro in più. Più in generale, nel corso del 2014, la lotta all’evasione ha raggiunto i 14,9 miliardi di euro. Peccato che il fondo per il taglio delle tasse, alimentato proprio coi proventi recuperati dal Fisco, rimarrà di nuovo a secco.
Come spiega “il Messaggero”, l’Agenzia delle Entrate si è messa a incrociare le banche dati e ha fatto saltare fuori le posizioni irregolari. Grazie alla dichiarazione dei redditi precompilata, poi, si è messa a scrivere agli italiani che avevano sgarrato col Fisco. Nel Documento di economia e finanza (Def), il governo dà conto di questa operazione che si è tradotta nell’invia di 220mila lettere ad altrettanti contribuenti che agli occhi dell’Agenzia delle Entrate presentavano irregolarità. “Dopo quell’invio in oltre 105mila avevano regolarizzato la loro posizione e si erano messi in regola – spiega Andrea Bassi sul Messaggero – grazie a queste iniziative è stato possibile recuperare 300 milioni”. La cifra non è granché rispetto ai 14,9 miliardi di euro recuperati sul 2014. Non solo. Nemmeno quest’anno la lotta all’evasione servirà ad abbassare le tasse agli italiani. “Non si valutano maggiori entrate rispetto a quelle già scontate nei tendenziali”, si legge in uno degli allegati del Def.
Sergio Rame
Fonte: il Giornale