Denuncia di Confcommercio: disparità territoriali e incrementi scriteriati. Alcuni ristoranti sono passati da 500 a 10.000 euro all’anno di Tari, gli alberghi 13.000 e certi negozi da 90 a 700 euro.
Quella sui rifiuti è una tassazione crescente che ha inciso su tutte le principali categorie economiche del terziario, con distorsioni eclatanti per alcune attività. I ristoranti hanno visto aumentare i costi per la Tari quasi del 500% mentre ortofrutta, pizzerie e discoteche hanno superato addirittura il 600%. Questi alcuni dati che emergono dall’Osservatorio nazionale sui rifiuti di Confcommercio, che sottolineano come enormi sono i divari di costo tra territori, ma sono ancora più anomali i divari di costo tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni.
Per il ristorante, ad esempio, si passa dai 500 euro annui ai quasi 10.000 euro all’anno, con uno scostamento di quasi il 1.900%. Per l’albergo, le tariffe variano da un minimo dio 1.200 euro al massimo di 13.000 euro l’anno. In questo caso il differenziale è del 983%. Per il negozio di calzature il gap tariffario tra territori è di oltre il 677%, passando da un minimo di 90 euro l’anno ad un massimo di 700 euro l’anno. Numerosi, secondo Confcommercio, sono i casi ove la spesa per la gestione dei rifiuti, a parità di livelli qualitativi di servizio, manifesta scostamenti significativi anche tra Comuni limitrofi, con picchi che sfiorano il 900%.
Dai dati si evince anche come al Nord esistono Comuni con costi unitari per abitante di 51,5 euro a fronte di altri dove il costo supera 414 euro per abitante. Al Centro numerosi sono i Comuni con costi unitari inferiori a 64 euro per abitante ma altrettanto numerosi sono i Comuni dove la spesa per abitante supera i 485 euro. Al Sud, infine, si sono registrati Comuni con costi unitari per abitante inferiori a 98 euro e Comuni i cui costi sono superiori a 308 euro per abitante.