La crisi economico-politica e lo scandalo Petrobras in cui è finito il suo mentore Lula animano la protesta popolare organizzata delle opposizioni contro la “presidenta”, che si è estesa in 300 tra città e villaggi.
Nuova prova di forza delle opposizioni brasiliane, che hanno portato domenica 13 marzo in piazza circa tre milioni di persone in 300 diverse città e villaggi per protestare contro il governo di sinistra della presidente Dilma Rousseff, ritenuta incapace di gestire la crisi politica ed economica che attanaglia il Paese.
La protesta di piazza si è estesa anche al predecessore di Dilma, l’ex presidente Lula, il cui recente coinvolgimento nella Tangentopoli brasiliana ha infiammato negli ultimi giorni le pagine sui social network del “Movimento Brasil Livre” (“Brasile libero”) e “Vem pra rua” (“Scendi in strada”) che hanno organizzato la mobilitazione di protesta, appoggiata dai partiti di centrodestra e da alcune associazioni di imprenditori. Come nell’ultima mobilitazione nazionale del marzo 2015, i primi a scendere in piazza sono stati gli attivisti di Brasilia, Rio de Janeiro e Belo Horizonte. In queste tre grandi città la partecipazione è stata superiore a quella dello scorso anno: almeno 100mila persone hanno sfilato pacificamente nella capitale, sventolando migliaia di bandiere e intonando l’inno nazionale.
Sulla partecipazione di Rio non ci sono ancora cifre ufficiali: gli organizzatori hanno stimato in un milione le persone che si sono radunate sulla spiaggia di Copacabana ma è molto probabile che i dati della polizia saranno di gran lunga inferiori. La manifestazione più imponente sembra però essere quella di San Paolo, capitale economica del Paese e feudo delle opposizioni di destra. Ai manifestanti che hanno colorato le strade di giallo e di verde, i colori della bandiera nazionale, e intonato slogan a favore dell’impeachment della presidente Dilma e in sostegno ai magistrati che hanno dato il via alla Tangentopoli brasiliana, si è unito anche il governatore di destra dello stato, Geraldo Alckmin, che ha raggiunto l’Avenida Paulista, la strada principale della città, assieme al leader del suo partito, Aecio Neves, sconfitto alle presidenziali da Dilma e promotore della richiesta di messa in stato di accusa della presidente.
“Questo è il bello della democrazia, tante persone sono venute in pace. E noi cerchiamo un’uscita dall’impasse attraverso la Costituzione”, ha twittato Neves. Nel timore di scontri, il Partito dei lavoratori di Dilma e Lula ha cancellato quasi tutte le contromanifestazioni, che si sono svolte in forma minore in poche città. Un migliaio di militanti del Pt si è però radunato sotto casa di Lula, alla periferia di San Paolo, quasi a voler proteggere l’ex presidente, per il quale la procura ha chiesto l’arresto preventivo giovedì 10 marzo con l’accusa di aver occultato al fisco la proprietà di un immobile di lusso. Lula non si è sottratto all’abbraccio dei suoi fedelissimi ed è sceso in strada per concedersi il bagno di folla. Dilma, invece, che non è stata coinvolta direttamente nello scandalo delle tangenti pagate dal colosso petrolifero pubblico Petrobras, ha difeso il diritto di ogni brasiliano a manifestare “in maniera pacifica” ma ha annunciato venerdì 11 che non intende dimettersi. “Non ho la faccia di una che si dimette”, ha detto.
Gli organizzatori ritengono però che la presidente non potrà ignorare la voce della strada che ha fatto nuovamente da megafono al malessere sociale della classe media brasiliana, esasperata dagli scandali di corruzione e preoccupata per l’impennata dei prezzi e il crollo dell’occupazione.