Brexit, conservatori spaccati sul referendum Ue. E la sterlina va al ribasso

Giornata difficile per il pound: peggior perdita in una sola sessione dopo che il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha impegnato tutto il suo peso nella campagna per …

Giornata difficile per il pound: peggior perdita in una sola sessione dopo che il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha impegnato tutto il suo peso nella campagna per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La pressione sulla moneta si è intensificata stamane con la divisa britanica che ha perso l’1,5% a 1,14186 dollari, il livello più basso da tre settimane. Stessa dinamica nei con fronti dell’euro che ha guadagnato l’1,2% nei confronti della sterlina a quota 0,7828. Dall’inizio dell’anno la sterlina ha perso il 3%, il maggior calo tra le principali valute registrato quest’anno. “Ogni chiusura akl di sotto di 1,42 dollari o sopra 0,7850 sterline nei con fronti dell’euro aprirebbe la strada a ulteriori debolezze della sterlina”, ha avvertito Kit Juckes della Societé Générale, secondo quanto riportato dal Financial Times. “In generale – ha aggiunto l’analista – penso che probabilmente vedremo ulteriori indebolimenti della sterlina prima del voto con il dibattito che si accenderà e con l’incertezza che indebolirà la fiducia. Non posso immaginare che i sondaggi di opinione possano muoversi con decisione in alcuna delle due direzioni per fare emergere più chiarezza prima del 23 giugno” quando si terrà il referendum sull’uscita del Regno Unito dalla Ue.

Il premier inglese presenta i punti chiave dell’accordo con Bruxelles e cerca di “spegnere il fuoco” sulla consultazione del 23 giugno, ma il suo partito si divide: il sindaco di Londra molla l’Europa, la City no.

Il premier David Cameron presenta nel pomeriggio di lunedì 22 febbraio al Parlamento britannico i punti chiave dell’intesa raggiunta al vertice Ue della scorsa settimana sulle riforme dell’Unione europea, nella speranza di ottenere sostegno alla sua campagna per la permanenza nella Ue al referendum del 23 giugno.

Una campagna che parte in salita, dopo che domenica 21 febbraio una delle figure più carismatiche del partito conservatore e possibile successore del premier alla guida dei Tories, il sindaco di Londra Boris Johnson, gli ha voltato le spalle appoggiando la “Brexit”, l’uscita del Regno unito dall’Unione. Prima di raggiungere l’intesa venerdì sera a Bruxelles per dare a Londra uno “statuto speciale” nella Ue, Cameron aveva incassato l’appoggio della maggioranza dei suoi ministri. Ma dopo l’annuncio dell’accordo sei membri dei governo, tra cui spicca l’influente ministro della Giustizia, il falco Michael Gove, hanno annunciato che avrebbero fatto campagna per la Brexit. Johnson, in lizza per succedere a Cameron se questi, come annunciato, si ritirerà nel 2019, ha detto ieri che le riforme di Cameron non cambiano in maniera sostanziale il rapporto di Londra con Bruxelles. Oggi il sindaco di Londra scrive in un editoriale sul Daily Telegraph che la “Bremain”, in gergo media la permanenza nella Ue, rappresenterebbe un'”erosione della democrazia”.

“Assistiamo a un lento e invisibile processo di colonizzazione legale, in cui la Ue è infiltrata in praticamente tutte le aree della politica pubblica” scrive Johnson, secondo il quale il progetto europeo” si è trasformato ed è cambiato fino a diventare irriconoscibile”. Per questo il no alla Bremain non ha alcuna valenza xenofoba, ma è un’occasione senza precedenti di reimpostare il rapporto con l’Unione, argomenta il sindaco di Londra.

Il problema di Cameron è ora di evitare una spaccatura del suo stesso partito, convincendo al tempo stesso dagli elettori che quello di Bruxelles è un buon accordo, tale da permettere di continuare a restare nell’Unione. Ma l’annuncio di ieri di Johnson ha esposto la frattura nei Tories tra gli euroscettici, pattuglia minoritaria, ma agguerrita fin dai tempi di Margaret Thatcher, e gli europeisti. Il premier ha lasciato libera scelta ai suoi parlamentari al referendum, ma ha investito un enorme capitale politico nella campagna per il sì all’Europa. Decine di deputati hanno annunciato o lasciato intendere che si schiereranno per il no. Anche il candidato Tory per succedere a Johnson come sindaco di Londra, Zac Goldsmith, si è schierato per la Brexit. Per molti Johnson spera di sfruttare l’ondata di anti-europeismo per farsi catapultare alla guida del partito. “Boris lancia la stoccata finale” recita la prima pagina del Daily Mail, che descrive la scelta di Johnson come “un colpo di spada” alla campagna di Cameron, che potrebbe portate il no alla vittoria.

Il Daily Mirror, tabloid di simpatie laburiste, scrive di “guerra incivile” all’interno del partito conservatore. La campagna per il sì alla Ue di Cameron ha ottenuto l’endorsement fondamentale di una serie di pezzi da 90 del partito, dal segretario agli Interni Theresa May a quello degli Esteri Philip Hammond a quello della Difesa Michael Fallon. Ma ha anche il sostegno della City di Londra, il cuore finanziario d’Europa, e del principale partito d’opposizione, il Labour. I capi di circa la metà delle 100 più grandi aziende britanniche, tra cui Shell, Rio Tinto e BT si preparano a firmare un appello pubblico in favore della Bremain. Secondo un sondaggio Survation/Mail on Sunday pubblicato ieri, il 48% dei britannici vuole restare nella Ue, il 33% vuole uscirne e il 19% è ancora indeciso.

La City si schiera con il premier

Una parte dei signori della City londinese si schiera per l’Europa ed è ormai pronta a scendere in campo a viso aperto in vista del referendum britannico del 23 giugno. Lo scrive con evidenza il Financial Times, precisando che sarà pubblicata martedì 23 febbraio l’annunciata lettera di sostegno al premier David Cameron nella sfida contro la Brexit: sfida resa più difficile dall’annuncio con cui domenica 21 febbraio il popolare sindaco di Londra, Boris Johnson, ha aderito alla campagna per il “no” all’Ue, dando ulteriore peso al dissenso fra i Conservatori.

Secondo il Ft, al documento hanno già aderito i numeri uno di circa 50 delle 100 grandi aziende quotate alla Borsa di Londra come punti di riferimento dell’indice Ftse 100. Il 19 febbraio il Daily Telegraph aveva tuttavia ipotizzato almeno “80 firme” fra i grandi nomi del Ftse 100. “Il business – aveva detto una fonte governativa la settimana scorsa – è nella stragrande maggioranza dalla nostra parte… E la sua sarà una voce potente che aiuterà a sostenere le ragioni di chi sa che la gente starà meglio se resteremo nell’Unione europea”.

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