La Brexit si sta rivelando positiva per l’economia mondiale perché costringe banche centrali e governi a rivedere le proprie politiche e si trasforma per la Gran Bretagna in un’opportunità storica.
L’apocalisse non c’è stata e i più quotati analisti internazionali sono stati smentiti. La Borsa di Londra registra un +7,7% dall’inizio dell’anno mentre nello stesso periodo le piazze europee affondano (Parigi -5,7%, Francoforte -3,1%, Milano -22,8%); nell’ultimo trimestre il Pil britannico è cresciuto dello 2,2% rispetto all’anno prima, la disoccupazione è al 4,9% (in Italia è all’11,4%), la domanda interna è sostenuta e i prezzi al consumo salgono, mentre l’Europa ristagna nella deflazione. Le cassandre avevano previsto anche un crollo del 20% della sterlina sull’euro, invece è stato molto più contenuto (da 0,76 nel giorno della Brexit agli attuali 0,85 euro/sterlina).
Smentite anche le catastrofiche previsioni di autorevoli opinion leader italiani e della totalità dei nostri governanti, immemori forse di quel principio su cui si è basata fin dal Risorgimento la politica estera italiana: mai contro l’Inghilterra.
Storicamente, la Gran Bretagna è stata a lungo per una gran parte della società italiana il principale punto di riferimento economico e politico, come oggi lo sono gli Stati Uniti. I già buoni rapporti all’epoca dell’Unità d’Italia si rafforzarono quando gli inglesi capirono che l’apertura del Canale di Suez (1869) poneva la Penisola in una posizione strategica per il controllo delle rotte commerciali del Mediterraneo e dei loro interessi in Africa e in Estremo Oriente. Le relazioni diplomatiche si svilupparono poi con la collocazione dell’Italia liberale nel sistema delle “potenze alleate” (Patto di Londra, 1915), a fianco delle quali fu combattuta e vinta la prima guerra mondiale.
Anche la politica estera di Mussolini fu incentrata e costantemente diretta a mantenere e rafforzare il legame con l’Inghilterra, dalla quale dipendevano gli interessi strategici ed economici dell’Italia. Questo aspetto, trascurato da gran parte della storiografia soprattutto straniera e “di sinistra”, emerge invece chiaramente nel libro di Francesco Lefebvre L’Italia e il sistema internazionale. Dalla formazione del governo Mussolini alla Grande Depressione (1922-1929), pubblicato da Edizioni di Storia e Letteratura, in cui l’autore analizza, in modo approfondito e con fonti di prima mano, tutti gli aspetti della politica estera italiana nei primi anni del fascismo e la sua collocazione rispetto al sistema economico dell’epoca guidato da Inghilterra e Stati Uniti, senza tralasciare i problemi finanziari e monetari come la svalutazione della lira e l’adozione dello “standard aureo”.
Secondo Francesco Lefebvre, in tutte le principali questioni internazionali dell’epoca l’Italia fu sempre allineata alle posizioni inglesi e il governo fascista curò di assicurarsi l’appoggio del Regno Unito, modificando la propria azione tutte le volte che tale appoggio rischiava di essere compromesso. In campo coloniale, fino alla campagna d’Etiopia del 1935, non venne neppure formulato un programma che potesse essere men che gradito all’Impero britannico. La linea di fondo della politica estera fascista per oltre la prima metà del ventennio – secondo Lefebvre – fu sempre ispirata al principio “mai contro l’Inghilterra” e all’inserimento dell’Italia nel sistema economico fondato sul nucleo britannico e statunitense, eccetto ovviamente .
Oggi, con la Brexit ci accorgiamo che la Gran Bretagna è una nazione a sé, in vedetta sul futuro ma al tempo stesso maestra del passato. Sin dall’inizio la sua partecipazione al progetto europeo fu costantemente critica e ostile a ogni misura che superasse quello che realmente e solo interessava Londra: la libera circolazione di merci e capitali.
L’uscita dall’Europa non sarà una passeggiata. Parigi e Berlino sono d’accordo per agire velocemente e in maniera determinata. La Commissione Ue ha organizzato una task force per la preparazione e lo svolgimento dei negoziati; sarà a guida franco-tedesca e operativa dal primo ottobre. Anche l’Europarlamento ha scelto il proprio capo negoziatore, si tratta dell’ex Premier belga Guy Verhofstad. Di italiani al momento non c’è traccia. In attesa di conoscere quale sarà la posizione e il ruolo dell’Italia nei negoziati, non resta che auspicare che il governo Renzi agisca in modo responsabile, rammentando ai nostri rappresentanti che il principio su cui si è basata la politica estera italiana dal Risorgimento ad oggi è sempre stato “mai contro l’Inghilterra”.
di Giancarlo Di Nunzio
Francesco Lefebvre D’Ovidio insegna Storia delle relazioni internazionali nel Dipartimento di studi politici dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ha pubblicato vari studi sulla politica estera italiana nell’Ottocento e negli anni Venti e Trenta del Novecento. È presidente del Comitato scientifico del Ministero degli Affari Esteri per la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani, dei quali ha curato alcuni volumi. È membro del comitato per l’Archivio del Sen. Giulio Andreotti presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma e in tale veste sta curando alcune pubblicazioni di documenti riguardanti i rapporti fra Andreotti e Gorbaciov e l’epistolario fra Andreotti e Cossiga.
Foto in alto: Bernardo Attolico e Konstantin von Neurath (
Cesare58
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