I mercati hanno concesso una pausa dopo due giorni di tracolli ma governo, Commissione Ue e Bce sembrano essere d’accordo sul principio: bisogna essere pronti a varare misure per sostenere le banche e quindi i risparmiatori nel caso la situazione continui a peggiorare e occorre risolvere le debolezze del comparto. La trattativa fra Italia e Ue comunque è in corso e riguarderebbe strumenti da attivare caso per caso evitando d’altra parte il ricorso massiccio agli aiuti di Stato.
Gli effetti negativi che indubbiamente la Brexit avrà sull’economia europea ma anche mondiale hanno messo in risalto una situazione di vulnerabilità che si stava solo a fatica risolvendo negli ultimi mesi, specie in Italia. Il presidente del consiglio Matteo Renzi assicura che il governo è “pronto a fare tutto il necessario, se servirà, per garantire la sicurezza dei risparmiatori e dei cittadini”. Ma mentre il vicepresidente della Commissione Dombrovskis conferma i colloqui fra la Ue l’Italia senza fornire dettagli, l’agenzia Bloomberg cita un documento del presidente della Bce Mario Draghi al vertice Ue (dove non avrebbe comunque citato gli istituti italiani): di fronte all’impatto notevole della Brexit su economia e mercato dei cambi “non possiamo più permetterci” di non risolvere le debolezze delle banche, dice il banchiere.
I nervi, si ragiona fra le autorità del nostro paese, vanno tenuti saldi e l’Italia non è un ‘caso’ più di altri paesi colpiti anch’essi dal crollo delle quotazioni di questi giorni, ma bisogna poter disporre di strumenti adatti da poter attivare caso per caso per evitare il ricorso alla direttiva Brrd, quella del bail in che colpendo gli obbligazionisti delle banche in difficoltà farebbe scattare, secondo molti, una crisi sistemica a catena. Una sospensione del bail in tuttavia, anche usando la clausola delle ‘circostanze eccezionali’ previste dalle stesse norme Ue, appare comunque difficile. Sia per l’opposizione di alcuni partner europei sia perché in qualche modo ammetterebbe la situazione di estrema debolezza del comparto bancario italiano. È quindi utile disporre di uno spartito di attrezzi che possa includere un Atlante 2 o comunque uno schema volontario per intervenire nel capitale delle banche in difficoltà, alla fornitura di liquidità fino a garanzie.
Più articolata la questione dei crediti deteriorati, vera spina nel fianco degli istituti italiani e oggetto di una forte trattativa nei mesi scorsi. Anche in presenza di un ‘ravvedimento’ Ue pesa l’attuale turbolenza di mercato dove anche gli attivi pregiati hanno perso molto valore. Di certo uno Stato che diventi padrone di una larga fetta del comparto non lo vuole quasi nessuno: né le stesse banche, né lo Stato che poi dovrebbe amministrare istituti in crisi con costi sociali e politici notevoli visto anche quanto successo con le relativamente piccole 4 banche a novembre.
L’uscita della Gb costa fino allo 0,5% del Pil Ue
L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue potrebbe costare alla zona euro fino allo 0,5% di Pil e potrebbe innescare una corsa a svalutazioni competitive delle monete di tutto il mondo. L’allarme, perché di vero e proprio allarme si tratta, lo ha lanciato il presidente della Bce Mario Draghi, in un documento ottenuto al vertice europeo da Bloomberg. La riduzione della crescita – secondo Draghi – dovrebbe pesare per i prossimi tre anni e, se la Gran Bretagna dovesse andare in recessione, l’effetto sull’eurozona sarebbe immediato.
Tutti i mercati internazionali verrebbero colpiti, specialmente quelli dei cambi. Per questo l’Eurotower ha intensificato la cooperazione con le altre banche centrali sui movimenti valutari e, ha assicurato Draghi, farà tutto il necessario per assicurare la stabilità dei prezzi. Il rischio, in questo senso, è che la Brexit inneschi una corsa alle svalutazioni competitive delle monete. “Temiamo le reazioni – ha detto – dei paesi che provino a correggere ciò che loro vedono come un tasso di cambio errato, cosa che potrebbe innescare svalutazioni competitive e incrementare i premi di rischio e le turbolenze”. Draghi aveva raccomandato le banche centrali di “non rinunciare a perseguire gli obiettivi d’inflazione” e di “allineare” le proprie politiche monetarie per evitare “ricadute destabilizzanti” tra le diverse economie che crescono a tassi differenti.
Intanto la Federal Reserve si appresta ad alzare i tassi negli Stati Uniti mentre la stessa Bce, la Banca d’Inghilterra e quella del Giappone proseguiranno con politiche monetarie espansive. Proprio martedì 28 giugno la crescita economica negli Usa nel primo trimestre è stata rivista al rialzo all’1,1% rispetto all’1% atteso e contro la precedente stima dello 0,8%.