C’è un sito decisamente provocatorio sin dal titolo che vanta 600 mila contatti e serve a mettere alla berlina i propri coinquilini «per sensibilizzare la società sul dramma della convivenza tra estranei». Ha avuto successo perché documenta fotograficamente le nefandezze dei giovani conviventi, ha generato già un libro ed è una dissacrante metafora di una generazione a metà del guado. Che vorrebbe conquistare autonomia residenziale ma è obbligata a dividere le spese con dei semi-sconosciuti.
Il coinquilino diventa quindi una sorta di capro espiatorio à la Pennac , appena incappa in qualcosa di sbagliato viene messo alla gogna via Internet. Le accuse sono di tutti i tipi: non lava i piatti, non tira lo sciacquone, lascia aperto il gas, non pulisce niente proprio niente, porta a casa tizi improbabili, non vuota la pattumiera, non usa le cuffie per la musica e addirittura fa lo/la gnorri quando si tratta di pagare l’affitto. L’utente-delatore in realtà vorrebbe liberarsi al più presto del suo coinquilino e quando ci riesce finisce per alimentare un turn over accelerato in cui la stanza può cambiare anche tre ospiti in un anno.
Le condivisioni «miste»
Un appartamento con due camere da letto costa a Milano 800-900 euro, idem a Roma, a Padova 500, a Catania 360, cifra alla quale vanno aggiunti in media altri 100 euro per bollette varie e spese di condominio, 25 per il wi-fi. Per sostenere quest’impegno ogni mese ci vorrebbe uno stipendio rotondo (che non c’è) e dividere le spese è la conditio sine qua non.
Questa giostra di ingressi e porte sbattute è popolata da maschi e femmine nelle stesse proporzioni, la modernità si esprime con il fatto che un ragazzo convive tranquillamente con una ragazza semisconosciuta senza alcun coinvolgimento affettivo ma l’equipaggio misto deve mettere in conto più differenze e più recriminazioni. Le foto del sito ritraggono di tutto, l’imbarazzo del bucato in comune e i turni di utilizzo del bagno fanno il resto. Le ragazze comunque sono più apprezzate dai padroni di casa perché considerate, a smentita di tutti i luoghi comuni, interlocutori più razionali.
Le App e le tipologie
Il fenomeno dell’appartamento condiviso è così diffuso che sono già spuntate diverse app — BeRoomers, Uniplaces e Roommates — per «matchare» (si dice così) le diverse esigenze e tentare di trovare il coinquilino ideale in anticipo grazie a un sistema di recensioni come Tripadvisor (età, fumatore/non fumatore, amante degli animali o meno). A dimostrazione dell’interesse che il test del coinquilino rappresenta per monitorare l’universo giovanile esiste una ricerca sul tema realizzata dal Politecnico di Milano, dai due urbanisti Massimo Bricocoli e Stefania Sabatinelli e pubblicata sull’International Journal of housing policy.
L’indagine si appunta sulle carenze del modello di welfare italiano «non amichevole nei confronti dei giovani» ed esamina le strategie di sopravvivenza. L’assenza di rilevazioni generali rende difficile quantificare il fenomeno e anche i censimenti nazionali che pure fotografano la situazione abitativa non scendono così nel dettaglio.
I ricercatori hanno comunque diviso il campione dei coinquilini forzati in tre gironi: il primo è quello classico degli studenti fuori sede, il secondo è di ragazzi milanesi che lasciano la famiglia per conquistare autonomia e privacy, il terzo sono giovani che vengono da fuori — altre regioni d’Italia o estero — per lavoro. La ricerca conferma come analizzando gli stili di vita si capisca molto delle spinte all’autonomia, la responsabilizzazione e gli slittamenti di personalità dei giovani di questa età.
«Vivere sotto lo stesso tetto non è facile, specialmente quando i bisogni e le esigenze legati all’uso degli spazi e alla gestione del tempo differiscono in modo sostanziale — dicono i due urbanisti —. L’organizzazione del quotidiano tra chi studia e chi lavora, ad esempio, genera priorità differenti e può portare a scontri. Ma l’esperienza di condivisione di un appartamento può anche dare vita a pratiche virtuose, la capacità di mediare prima di tutto».
Le liti: disordine e pagamenti
Ed è proprio questo il tema più delicato (come dimostra il successo del sito), perché la mediazione è passaggio assai complicato. Certo, esistono anche storie esemplari come quella di Corrado che di fronte alle difficoltà di pagamento dell’affitto del coinquilino gli fa da banca. In realtà però prevalgono i conflitti, le esasperazioni caratteriali e il sogno di poter mandare via il convivente e restare da soli.
Secondo un sondaggio di Easystanza, un altro sito che affitta stanze ai coinquilini, i motivi di conflitto principali arrivano da «punti di vista e abitudini differenti» per il 41%, da poca collaborazione nella faccende domestiche per il 31%, disordine e poca igiene per il 30%, ritardo nel pagare le spese per il 13,5 e portare gente sconosciuta per il 13%. Le aree fisiche dove si litiga di più sono la cucina, bagno e balcone.
Chi resta con i genitori
Un recente studio dell’Istat ci dice che gli under 35 non sposati che condividono lo stesso tetto con mamma e papà sono 6,8 milioni e il 62,5% dei celibi/nubili di quella fascia di età. Al loro interno i mammoni forzati sono per un terzo studenti, un terzo disoccupati e un terzo hanno un lavoro. Dando per scontato che le prime due tipologie non hanno molta scelta e sono obbligati a restare con i genitori è interessante approfondire le strategie di vita dell’ultimo terzo. Quanti di loro hanno uno stipendio sufficiente per prender casa fuori e mollare gli ormeggi?
Non ci sono numeri precisi ma si può stimare che serva uno stipendio di 2 mila euro nelle grandi città per poter traslocare definitivamente. Di paghe di questo tipo non ce ne sono molte in giro (neanche un ingegnere riesce ad arrivarci nei primi anni di lavoro) e quindi viene fuori la tattica di cercare un coinquilino.
Anche la ricerca di Acli e Cisl che ha segnalato l’avanzare di un sentimento di «arrendevolezza» tra i ventenni romani segnala come in una grande città la maggioranza (il 58,5%) degli intervistati indichi nelle «risorse materiali» la condizione necessaria per andare a vivere da soli. Chi fa questa scelta a suo modo è un piccolo eroe perché non si perde d’animo e in nome dell’autonomia e della crescita personale decide di fare almeno un passo e provare a tagliarsi i ponti dietro. Non tutti sono ugualmente coraggiosi, ma come dice l’Istat c’è chi resta in famiglia magari con l’idea di mettere da parte i soldi e prendere il largo solo in un secondo tempo.
Il confronto con l’estero
Come si usa in questi casi viene da paragonare la nostra situazione a quella degli altri Paesi europei ed è sempre un esercizio utile. Vediamo. Gli scandinavi vanno fuori di casa in media a 22 anni, in Francia — nonostante che il loro Tanguy cinematografico sia diventato il simbolo dei mammoni dell’Occidente — tra i 23 e i 24, in Spagna — che ha tassi di disoccupazione doppi dei nostri — a 29 anni come gli italiani. Questo ritardo ha un effetto domino su tutte le scelte di vita successive (matrimonio, figli) e crea un trentenne che non ha preso decisioni significative, non sa gestire un budget economico e quindi rinvia forzosamente la propria maturazione.
Il nostro coinquilino è come se con il suo coraggio volesse almeno dimezzare tutti questi effetti negativi, parte senza sapere perfettamente quando arriverà alla meta della piena autonomia ma intanto si fa le ossa. Sapendo che, ancora peggio di sopportare un convivente odioso, c’è il ritorno nella casa dove si è cresciuti mettendo in bilancio un fallimento.
di Dario Di Vico
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Corriere della Sera, che ringraziamo
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