Il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, e il leader delle Farc, Rodrigo Londono Echeverri, alias “Timochenko”, hanno firmato lo storico accordo di pace che mette fine al sanguinoso conflitto armato che ha causato, negli ultimi 52 anni, almeno 220mila morti e quasi 7 milioni di sfollati.
Di fronte alle mura di Cartagena de Indias, sulle rive del mar dei Caraibi, Santos e “Timochenko”, dinanzi a 2.500 ospiti tutti vestiti di bianco, hanno firmato la pace che mette fine alla guerra più antica del continente. “Mettendo fine a questo conflitto, termina l’ultimo e più antico conflitto armato dell’Emisfero occidentale. Per questo festeggia la regione e festeggia il pianeta, perché c’è una guerra in meno nel mondo ed è quella della Colombia”, ha detto Santos.
La storica firma arriva dopo quasi quattro anni di negoziati che si sono svolti sotto gli auspici del regime di Cuba dei fratelli Castro, che negli anni ’60 e ’70 avevano appoggiato la guerriglia di ispirazione marxista leninista di gruppi come le Farc. Presente alla cerimonia anche Raul Castro, insieme ad altre autorità straniere, tra le quali il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon.
Nella giornata nella pace in Colombia, un segno di riconciliazione lo ha dato anche l’Unione europea, che ha annunciato la sospensione delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) dalla sua lista di organizzazioni terroristiche.
“La Colombia manda un messaggio di pace. L’Ue dà il suo appoggio e sospende le Farc dalla lista delle organizzazioni terroristiche”: con questo messaggio su Twitter l’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha annunciato la decisione presa a Bruxelles. Per l’occasione, lo splendido centro storico di Cartagena, sulla costa caraibica della Colombia, si è svegliato quasi sotto assedio militare. La presenza di 15 presidenti, 27 ministri degli Esteri, il segretario dell’Onu e le massime autorità delle principali organizzazioni regionali e multilaterali ha portato le autorità ad attivare un dispositivo di sicurezza senza precedenti.
Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha incontrato un gruppo di guerriglieri smobilitati delle Farc, così come rappresentanti delle vittime di un conflitto durato più di mezzo secolo, per ribadire l’impegno di Washington per assistere nella delicata fase di implementazione dell’accordo: 660 milioni di dollari. Anche il ministro degli Esteri canadese, Stephane Dion, ha annunciato che il suo governo sosterrà economicamente la Colombia nella fase post-trattato, promettendo circa 16 milioni di dollari, in aggiunta ai 50 già annunciati nel luglio scorso per “costruire la pace sostenibile”, e particolarmente per lo smantellamento dei campi di mine seminate dalle Farc.
Da parte sua, il segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha presieduto una cerimonia liturgica per la riconciliazione nazionale nella storica chiesa di San Pietro Clavier, durante la quale ha pregato perché “la Colombia impari a dare sollievo al dolore di tanti dei suoi abitanti, per costruire un futuro migliore e ricostruire la dignità di coloro che hanno sofferto e soffrono ancora”.
Non tutti, però, si sono associati al clima di festa per la pace e la riconciliazione. L’ex presidente Alvaro Uribe, strenuo difensore del voto per il “no” nel referendum sull’accordo che si svolgerà domenica 2 ottobre, è sfilato in testa a un corteo a Cartagena per respingere quella che definisce “una resa”. Accompagnato da poche decine di militanti – le misure di sicurezza non permettevano mobilitazioni di massa – Uribe ha denunciato quello che secondo lui è “un accordo-tradimento, che garantisce l’impunità a un gruppo di delinquenti che si sono dedicati per anni al traffico di droga, il sequestro, lo stupro e il reclutamento di minorenni”.