La verità è che il web, forse, non ce lo possiamo permettere. I social network sono sempre più invasi da coloro che Enrico Mentana ha definito “webeti”. C’erano anche ieri, solo che sproloquiavano al bar o scrivevano perle di vita vissuta sui muri dei cessi: evitarli era facile. Oggi, purtroppo, tocca leggerli. Anche e soprattutto se non vuoi. Già notati da Michele Serra e Umberto Eco, i social dement hanno portato il Time a sparare in copertina: “I troll hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza”. E così la Rete, che continua a essere popolata da persone meravigliose che senza il web non avresti mai conosciuto e ad avere pregi enormi, è appesantita da “avvelenatori di pozzi” di professione. Qualcuno fa tenerezza, qualcuno fa pena. Qualcun altro fa solo schifo. Fenomenologia breve del webete.
Talebano. È sempre convinto che la verità stia solo da una parte e coincida con Renzi, Grillo o Salvini. Se gli dai ragione sei un eroe, se osi fare distinguo sei una merda. Il dubbio non li ha mai intaccati.
Piove governo ladro. Qualsiasi cosa capiti, dirottano sempre l’argomento su Renzi o Grillo. C’è il terremoto? “È colpa di Renzi”. La Roma va fuori dalla Champions? “È colpa della Raggi”.
Pretoriani. Passano la vita a insultare chi non la pensa come loro, creando profili fake a profusione per aumentare il loro fuoco (fatuo) di fila. Hanno fatto sesso l’ultima volta nel ’77 e si masturbano se un loro hashtag finisce nei Trending Topics. Poveracci.
Haters. Webeti anonimi che ti attaccano anche se dici cose ovvie, tipo “Rondolino è brutto come un singolo di Antonacci”. Se ti incontrano per strada, ti chiedono l’autografo: non perché in realtà ti stimino, ma perché del tutto sprovvisti di zebedei. Se la fanno sotto di default.
Indignati. Non gli va mai bene niente. Se Bonolis viaggia con l’aereo privato, lo insultano per ostentazione di ricchezza. Se Cannavacciuolo viaggia con RyanAir, lo insultano perché è un poveraccio. Una manciata di cazzi propri, no? No.
Esperti. Si adattano all’argomento del momento e danno consigli su tutto. Sul terremoto, sulla ripopolazione del panda rosso o sulla Pellegrini che “non sa nuotare”. Loro, invece, quando fanno il bagno nella vasca riescono a essere così agili da staccare perfino la paperella gialla. L’unica, peraltro, a fargli misericordiosamente compagnia.
Battutisti. Proliferano soprattutto su Twitter, convinti che bastino 140 caratteri ad minchiam per essere pubblicati su Spinoza. Fanno “battute” soprattutto quando muore qualcuno famoso. Una prece: al morto, ma più che altro a loro.
Precisini. Ne sanno sempre più di te. Sempre. Tipo: “Non è vero che Jimi Hendrix nel 1968 ha sbadigliato 74 volte. Lo ha fatto 76”. Si divertono così.
Gasparri. Emblema del citrullo mediamente noto che non sa usare la Rete e raccatta continuamente figure da bischero. Senza neanche accorgersene. Vale anche per le Picierno, ma non è il caso di dare ulteriore spazio a tale pulviscolo. Quindi andiamo avanti.
Censori. Vivono con l’unico obiettivo di lamentarsi se li blocchi dopo che ti hanno scritto “Crepa, merda”. A quel punto, eccitati come un eunuco di fronte a Gozi, gridano: “Visto? Vuoi la democrazia, poi però censuri tutti!”. Riassunto per il webete: la Rete non è democratica e una pagina pubblica lo è ancora meno. Se mi sputi sul divano di casa, io ti caccio. Ed essendo casa mia, magari ti caccio anche solo perché hai scritto “qual’è” con l’apostrofo: stacce (cit).
“E le foibe?”. Tribù assai numerosa e particolarmente cagacazzi. Se per esempio piangi per i morti del Bataclan, ti insultano perché non hai versato le stesse lacrime per i morti in Siria. Porca miseria: al giorno d’oggi, non sei neanche più libero di piangere chi ti pare.
Titolisti. Di un articolo leggono solo il titolo. Riuscendo pure a fraintenderlo.
Refusisti. Di un post, magari articolato, notano solo il refuso. Tipo: hai appena raccontato la storia di Muhammad Ali. E loro: “Che schifo, manca una virgola al rigo sette. Vergogna!!!”. È la variante web del pensionato che fracassa la uallera a chi lavora nei cantieri. Però meno simpatica.
“E quindi?”. Commento tipico di chi, dopo aver (non) letto un post, vorrebbe dire la sua. Non avendo però idee sue, non le dice. E quindi?
“Sai solo criticare”/ “Sei solo invidioso”. Reazione pavloviana di chi, trovatosi di fronte a critiche su persone, squadre o partiti a lui cari, non va mai oltre lo stantio “Stai a rosica’, vero?”. Un tale ragionamento, di per sé sommamente idiota, diviene addirittura comico se magari il “rosicare” riguarda Orfini: chi è che potrebbe mai invidiare Orfini? Dai ragazzi, su.
“Vergogna, perché non parli di (x)?”. Altra frase tipica del social dement, che pretende che gli argomenti di un profilo li scelga lui. E non il proprietario del profilo. Genio.
Fanboy. Puoi dirgli che un meteorite sta per abbattersi sulla Terra o che Siani sta per fare un altro film: non tradirà reazioni. Se però gli dici che l’ultimo disco di Mengoni fa abbastanza schifo all’intestino tenue, e pure a quello crasso, ti augurerà la morte. A te e famiglia. Daje.
Complottisti. Aspettano le tragedie per reiterare bufale ciclopiche con l’aria di chi – a dispetto dell’informazione canonica – ha il coraggio di dare notizie scomode. L’esempio della magnitudo “falsata” dal governo per non risarcire i terremotati è solo una delle tante. Poveri noi.
“Non hai niente di meglio da fare?”. Frase assai cara al webete. Lui, invece, che ha visto l’ultima donna seminuda nel Postalmarket e se ne sta lì a leggerti tutto il giorno anche se gli stai parecchio sulle palle, di cose migliori da fare ne ha tantissime.
Duri&Puri. Bivaccano sui social per scudisciare chi “tradisce”. Vorrebbero tutti poveri, infelici e possibilmente morti giovani. Ce l’hanno con quello che canta a Sanremo, con quell’altro che va dalla De Filippi e quell’altro che pubblica con Mondadori. Ovviamente, al loro posto, ipotecherebbero la madre per pubblicare con Mondadori. Cantare a Sanremo. E soprattutto andare dalla De Filippi.
Loro non sono mica razzisti. Qualsiasi cosa accada, è sempre colpa degli immigrati che vivono nei 4 stelle e prendono 35 euro al giorno. È l’unica cosa che (non) sanno e la spendono per ogni dibattito, che si parli di terremoto o ginger ale. Al massimo della loro elaborazione concettuale, possono arrivare a “Zingari di merda” e “Viva il Duce”. Ma solo con uno sforzo cerebrale tale da bruciare tutti i loro neuroni. Cioè uno. E pure irrisolto.
P.s. Ovviamente, dopo aver letto l’articolo, il webete si piccherà assai, mostrerà una coda di paglia lunga come da qui al Bengasi, accuserà l’autore stesso di essere un webete (cosa possibile, benché improbabile, ma che nulla sposta sul piano generale) e finirà con l’insultare ancora di più l’autore. Il quale, come sempre, con quegli insulti ci farà il brodo.
di Andrea Scanzi
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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Webete. È il neologismo coniato da Enrico Mentana per rispondere a un utente che polemizzava su terremoto ed immigrati. Per chi se lo fosse perso il fatto che ha fatto schizzare la parola coniata dal giornalista in trending topic su twitter in sostanza è stato questo: una donna di Amatrice, testimone di quello che stava accadendo dopo il sisma, spiega, in un commento sulla pagina facebook del direttore di La7, quanto il parallelismo fra “i terremotati nelle tendopoli e gli immigrati serviti e riveriti negli alberghi” sia sciocco e poco attinente alla realtà, interviene allora un altro utente, che, con fare da internauta scafato, suppone che la donna sia un fake, ovvero un profilo facebook fasullo che, non solo non corrisponde a nessuna persona reale, ma addirittura tenta di presentare come vera una cosa palesemente falsa. La risposta di Mentana arriva secca e fulminea: «lei è un webete».
Un webete, ma potremmo anche chiamarlo webidiota. Di neologismi in tema di hate speech, incitamento all’odio, in rete potremmo infatti coniarne a bizzeffe.
L’anno scorso, a metterci in guardia dalla deriva di questa libertà di parola online – nella quale ci si scorda che avere il diritto di dire la propria non significa dover per forza esternare il proprio pensiero in ogni occasione – era stato Umberto Eco. «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli» aveva detto il sociologo dopo aver ricevuto la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media” all’Università di Torino. E allora viene da pensare che sì, è vero, ci troviamo di fronte ad un’invasione, non di immigrati però, ma di webeti. Hanno ragione Mentana ed Eco.
Di fronte a un fenomeno tanto diffuso viene spontaneo chiedersi quanto incida lo stesso web nella diffusione della stupidità. Una prima risposta ce l’ha data Michela Del Vicario del Laboratory of Computational Social Science dell’IMT Alti Studi Lucca autrice insieme ad altri colleghi provenienti da università straniere di uno studio che spiega come soprattutto gli ambienti social diventassero delle echo chambers, ambienti dove le bufale o le opinioni politicamente scorrette tendono a rafforzarsi e a diventare virali. Secondo Del Vicario questo accade perché: «le persone per lo più tendono a selezionare e condividere i contenuti sui social network in base ad una narrazione specifica che sentono affine alle proprie idee e ad ignorare il resto»
Da un lato ci sono le bufale fatte di scie chimiche, vaccini che causano autismo e catene di Sant’Antonio dall’altro il cosiddetto hate speech, quei discorsi che incitano all’odio generalmente conditi da abbondanti dosi di razzismo, intolleranza (dall’omofobia al sessismo) e stereotipi vari. Questo non significa che l’hate speech abbia una vita solo virtuale, anzi, proprio perché esiste (e persiste) nella realtà offline, l’hate speech ha conquistato una sua rappresentazione online che, complici alcuni elementi caratteristici del web (commentare qualsiasi cosa immediatamente senza riflettere, senza essere effettivamente presenti per assumersi la responsabilità di quanto viene detto e senza che siano richieste competenze, algoritmi che tendono a mostrarci solo cose che confermano le nostre opinioni), ha trovato terreno fertile in rete tanto da fare di flame e troll elementi caratterizzanti del web. Secondo Joel Stein della rivista Time, è in atto una trasformazione, negli ultimi anni è infatti cambiata la personalità della rete.
Un tempo il web 2.0 e i social network quello venivano enfatizzati per il loro carattere democratico e di libera informazione dei nuovi media. Mai prima di allora uno strumento aveva permesso a chiunque fosse in possesso di una connessione di accedere a una tale mole di dati e conoscenza.
In un articolo comparso circa un anno fa su La Stampa di Gianluca Nicoletti, proprio a proposito delle affermazioni fatte da Eco, «finalmente possiamo misurarci con il più realistico tasso d’imbecillità di cui da sempre è intrisa l’umanità. […] chi vuole afferrare il senso dei tempi che stiamo vivendo è costretto a navigare in un mare ben più procelloso e infestato da corsari, rispetto ai bei tempi in cui questa massa incivilizzabile poteva solo ambire al rango di lettori, spettatori, ascoltatori».
Combattere i webeti e debellare l’hate speech è una delle sfide del nostro tempo per non scivolare in un’oclocrazia. Un’impresa ardua, ma non impossibile. Per combattere troll e utenti razzisti è necessario far capire, online come offline, che l’intolleranza non è un valore condiviso. «Oggi la verità va difesa in ogni anfratto, farlo costa fatica, gratifica molto meno – scrive sempre Nicoletti – , ma soprattutto richiede capacità di combattimento all’arma bianca: non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza».
E se l’attacco è ai valori che hanno costruito la democrazia (libertà, uguaglianza, fraternità) la risposta probabilmente per debellare la webidiozia è educare nuovamente alla democrazia, costruire luoghi di confronto e analisi che si trasformino in echo chambers virtuose, avamposti online del fact checking che disinneschino bufale e incitamenti all’odio. Nell’era digitale questo è uno dei compiti del buon giornalismo. Non serve limitarsi a descrivere la rete come un luogo dove a vincere è l’intolleranza, non paga buttarsi a capofitto su titoli strillati e acchiappa click presi dall’ansia della crisi editoriale (come molti giornalisti invece fanno). Ci si deve sporcare le mani e rispondere a tono a chi non rispetta i valori democratici o, ancor più semplicemente, umani. Ritornare ad essere anche online cani da guardia della democrazia. Corretti, intelligenti, onesti. E in questo senso quel webete diventato virale ha fatto molto.
Fonte: Left
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Altro che webeti, siamo tutti wembecilli
Lo scontro verbale su Facebook tra Mentana e il suo troll ha riportato in auge la parola Webete, ma in realtà aveva ragione Eco, i social network ci stanno facendo impersonare le versioni peggiori di noi stessi
In inglese quando una persona ha a che fare con un computer in maniera rozza, ignorante, fastidiosa da quanto è pirla, lo si chiama Luser, pronunciato come si scrive, risultato della crasi da User, utente, e Loser, perdente. Ma anche prima del fortunato Webete, termine anni Novanta rispolverato da Mentana per apostrofare un utente che diceva cazzate, ci eravamo già muniti di parole per apostrofare in maniera esatta e precisa i pirla all’epoca del web. Termini come Utonto, che di Luser è la traduzione ufficiale in italiano, o un simpaticisimmo Gonzonauta vanno più o meno nella stessa direzione.
Ma se gli wembecilli sull’internet ci sono sempre stati, come dimostra il fiorire di neologismi, perché allora il Webete di Mentana sta avendo così successo? E perché è stato accolto da liberatore, da terminator del troll, da vendicatore dell’Internet? La risposta può anche non piacerci, ma è una e una sola: siamo tutti wembecilli.
Ma un attimo, facciamo un passo indietro. Qualche tempo fa, in un numero pre estivo della Lettura del Corriere della Sera, Davide Ferrario scriveva un articolo intitolato Nuovi Franti d’Italia. La tesi era molto semplice: «Da ormai trent’anni», scrive Ferrario, «viviamo una dimensione morale, culturale, politica in cui l’irrisione è il principale strumento di confronto, a scapito della dialettica. A livello di massa, internet ha offerto la dimensione perfetta alla pratica frantiana di tirare il sasso e nascondere la mano, come si rileva da ogni chat». E conclude: «Franti, oggi, siamo noi — come lui incazzati per un torto subito di cui non ci diamo ragione, e incapaci di raddrizzarlo con le nostre azioni».
Il discorso di Ferrario sembra proprio la teorizzazione di quello che sta dietro al gesto di Mentana e al Webete, già divenuto proverbiale. Il sunto è: Internet ha dato la possibilità alla gente di liberare la propria cattiveria e così siamo tutti diventati Franti, ovvero degli stronzi maleducati che odiano tutto e tutti e che non perdono occasione per provocare il dolore altrui e riderne. Franti, se non lo conoscete, è un personaggio del libro Cuore di De Amicis ritornato agli onori della critica grazie a un saggio a lui dedicato da Umberto Eco, che nel suo Diario Minimo del 1963 gli dedica un bellissimo Elogio di Franti.
Davide Ferrario ha ragione, ma solo in parte e la storia di Mentana e del suo webete lo dimostra. Ha ragione quando dice che abbiamo ereditato i caratteri del Franti, l’umorismo cinico e nero, la cattiveria. Ma c’è un dettaglio che manca nell’analisi di Ferrario ed è quello che gli fa sbagliare l’ultima frase, quel “Franti, oggi, siamo noi”.
Perché è sbagliata? Perché di Franti abbiamo preso tutto tranne l’unica cosa che faceva di Franti un Franti, ovvero un vero escluso. Franti è un emarginato che, anche nel racconto parziale e ingenuo di Enrico, narratore del libro Cuore che ora definiremmo come un gran sfigato, riesce ad emergere come l’unico ad avere la caratteristica vera dei perdenti: Franti non ha niente da perdere. A Franti non gliene frega un cazzo. Di niente. Non ha sovrastrutture, non ha morale, non ha sensi di colpa.
Per questo non siamo Franti. Non ne siamo all’altezza. Charlie era Franti, noi siamo dei Garroni sfigati. Del Garrone abbiamo il “guarda mamma, senza mani”, ma soprattutto di Garrone abbiamo l’ego smisurato, l’ego come punto di partenza e punto finale di ogni nostra azione. È in questo che ci siamo imbarbariti. È per questo che ci ritroviamo — io, tu, voi, loro, Mentana — a fare i Garrone con altri Garroni. A fare i maestrini con altri maestrini. Siamo finiti in un turbine dove non conta più chi ha ragione o chi ha torto, ma dove conta soltanto il tenore della risposta e il numero di like che riesce ad accumulare.
E in questo che Mentana e il suo troll sono la stessa cosa. Il motore immobile delle loro azioni è l’ego, non altro. E noi non siamo meglio. Siamo uguali anche noi. Piccoli Garroni che non vorrebbero essere i primi della classe in un mondo in cui la classe ormai è esplosa. Se fossimo realmente Franti saremmo cattivi, ma cattivi sul serio, e in qualche modo almeno saremmo ancora un po’ umani.
No, aveva ragione Umberto Eco anche quando, 50 anni dopo l’Elogio di Franti, scriveva che i social network sono popolati da imbecilli. E sapete perché aveva ragione? Sapete perché poteva dirlo? Perché lui sui social network non c’era. Forse l’aveva capito che dare del coglione a qualcuno da una cattedra ben piantata in uno zoo per gli eghi della gente come è Facebook sarebbe stato un parlarsi allo specchio. Perché, fintanto che stiamo lì dentro a insultarci e a prenderci passivagressivamente per il culo, be’, siamo tutti Wembecilli.
Fonte: linkiesta.it
ronin
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Germania, ci risiamo: donne violentate da immigrati alla festa di paese
http://www.ilprimatonazionale.it/esteri/germania-donne-violentate-immigrati-49823/
Roma, 6 set – Gli immigrati, in Germania, hanno sempre più voglia di integrarsi. Con le tedesche, soprattutto. L’ultima riedizione dell’ormai indimenticabile capodanno di Colonia si è avuto, in dimensioni decisamente più contenute, durante la Essen Original city party, festa locale che si svolge ogni anno ai primi di settembre.
Diverse donne hanno denunciato di essere state violentate da aggressori che sembravano essere immigrati. La polizia, come riportato dal Daily Mail, ha specificato che gli abusi si sono verificati in tre punti diversi della cittadina. Secondo le indagini, ad agire gruppi composti da quattro e sei uomini che “conducevano le vittime in angoli bui e poi le violentavano”. Un metodo in cui nulla sembra lasciato al caso, quindi. Alcuni stranieri sono stati fermati, due di 16 anni di età e uno di 46. Dopo essere stati interrogati sono stati però rilasciati. I colpevoli sarebbero ancora liberi, e ricercati dagli agenti tedeschi. Peter Elke, portavoce della polizia, ha dichiarato: “Siamo schierati sul campo in maniera massiccia e siamo alla ricerca di testimoni”. Chissà che anche stavolta la risposta che proporranno le autorità non sia quella di istituire corsi di “buone maniere” o di sessuologia destinati agli amici migranti?
robyuankenobi
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belfagor
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eppure io condivido: il web consente di “apparire” ed essere “visibile” a gente che nella vita sociale non avrebbe un secondo di credito o di ascolto, come i pazzi che parlano da soli in strada o pronettono l’avvento di Cristo per punire i peccati del mondo. Altro che bar, molto peggio: nei bar vige l’ironia, il sentimento di gruppo, la bevuta collettiva, sul web il peggio del peggio trova sfogo e incanalamento. Parlo di web come commenti, non come siti. Sui siti e’ come i libri, ti scegli cosa leggere a seconda del tuo livello di cultura. Scusate se sono snob. Detto questo, alcune cose senza web non le sapremmo mai.
robyuankenobi
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robyuankenobi
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ronin
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Chi sono i veri “webeti”?
http://www.luogocomune.net/LC/index.php/27-media/4481-chi-sono-i-veri-webeti
Discutendo con gli utenti sulla sua pagina di Facebook, Enrico Mentana ha coniato il neologismo webete, e ora tutti ne parlano.
L’episodio viene così raccontato da La Stampa: “Nel rispondere all’ennesimo sconosciuto che lo contestava polemizzando sugli immigrati che stanno negli hotel di lusso mentre i terremotati dormono in tendopoli, il Direttore ha toccato un nuovo apice e coniato un’offesa che dimostra come la lingua, usata da chi ne è maestro, è ancora una spada efficacissima. «Mi stavo giusto chiedendo se sarebbe spuntato fuori un altro così decerebrato da pensare e poi scrivere una simile idiozia», commenta il giornalista. «Lei pensa che il prossimo le sia simile. Ma non c’è distanza maggiore che tra il virtuoso e il virtuale: eppure per lei se uno non grufola contro gli invasori è un fake. Lei è un webete».”Fin qui i fatti. Ora però si pongono alcune domande: in base a che cosa Mentana ha deciso che “l’ennesino sconosciuto” si sbagli nel preoccuparsi per la fine che faranno i soldi destinati ai terremotati? Solo per il fatto che lui è “conosciuto”, vuole dire che ha già ragione in partenza? O forse Mentana è in grado di dare garanzie personali su come verranno usati i soldi per i terremotati?
Nulla di tutto ciò, ovviamente. E’ semplicemente che lui sta “sopra” (in TV) e noi stiamo “sotto” (in rete), per cui lui ha ragione e basta. E’ curioso infatti che La Stampa si schieri “a priori” a favore di Mentana, definendolo addirittura uno che sa usare la lingua come un maestro. Gli fa eco il Fatto Quotidiano, che dice che con il termine webete “Enrico Mentana definisce tutta quella categoria di persone che commentano notizie e avvenimenti sui social e sui blog esprimendo opinioni infondate, non circostanziate, cariche d’odio e qualunquismo.”
Sembra quindi di capire che dietro a questo “webete” – termine che purtroppo da oggi sentiremo utilizzare fino alla nausea – si voglia raggruppare il pensiero mainstream, che teme ovviamente il sopravanzare delle “forze oscure del web”.
Ma in realtà sono proprio loro, i media mainstream, che ci propinano regolarmente delle notizie senza verificarne la fonte, solo perchè hanno ricevuto una velina del Pentagono, del Dipartimento di Stato oppure direttamente da Rita Katz.
Quando “nostra signora della rete” ci racconta – ad esempio – che è stata l’ISIS a fare l’attentato in Bangladesh, i nostri media mainstream ci ripetono questa “notizia” come se fosse una verità assodata, senza nemmeno verificarla. (Invece, a sentire il governo del Bangladesh, l’ISIS in questo caso non c’entrava nulla).
Ma allora, chi sono i veri webeti? Noi, o loro?
Massimo Mazzucco
ronin
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Germany says Facebook must do better about removing hateful content
Interior minister calls for more proactive approach to cracking down on racist and violent posts from users
https://www.theguardian.com/technology/2016/aug/29/facebook-germany-monitor-racist-violent-content?CMP=twt_gu
Facebook should be more proactive in removing racist and violent content from its sites, the German interior minister said on Monday after a visit to the company’s offices in Berlin.
“Facebook has an immensely important economic position and just like every other large enterprise it has a immensely important social responsibility,” Thomas de Maiziere said.
“Facebook should take down racist content or calls for violence from its pages on its own initiative even if it hasn’t yet received a complaint.”
………………ecc……………
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ronin
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Sull’immigrazione si sta tirando una corda fatta ormai di pochi fili. Cronache di un fine settimana
Di Mauro Bottarelli
http://www.rischiocalcolato.it/2016/08/sullimmigrazione-si-sta-tirando-corda-fatta-ormai-fili-cronache-un-fine-settimana.html
La foto che vedete qui sopra e che ho scelto come immagine di copertina dell’articolo proviene dalla cittadina di Parchim nel Meclemburgo-Pomerania, proprio il Lander che andrà al voto domenica e che vede Alternative fur Deutschland al 21%, terzo partito a soli due punti percentuali dalla CDU. Si tratta della porta di una moschea in costruzione che è stata murata con mattoni nel cosro del weekend e sopra la copertura sono stati posti due messaggi: il primo recita “Voi vi chiamate fedeli, noi vi chiamiamo invasori” e il secondo un motto che viene attribuito al presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, “le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, i fedeli i nostri soldati”. La polizia ha aperto un’inchiesta contro ignoti per vandalismo e incitamento all’odio, come riporta la tv NDR.
……………….ecc…
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ronin
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IL POLIZIOTTO: “L’ACCOGLIENZA? BUSINESS DEI POTERI FORTI. E CHI PARLA, VIEN FATTO FUORI”
Maurizio Blondet
http://www.maurizioblondet.it/poliziotto-laccoglienza-business-dei-poteri-forti-parla-vien/
E’ uno dei poliziotti più famosi d’Italia, grazie alle sue denunce pubbliche su quanto succede nei centri d’accoglienza e nelle procedure per identificare i migranti. Daniele Contucci, assistente capo della Polizia di Stato in forza presso la Direzione centrale immigrazione e Polizia delle Frontiere, ora dirigente sindacale Consap, racconta quanto visto negli sbarchi di migranti sulle coste italiane.
……………..ecc………
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Cesare58
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m.mazzoni
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