Colpi bassi, insulti, battute volgari: mai la corsa alla Casa Bianca era stata tanto degradata. L’establishment del partito tutto contro il miliardario populista: “È un ciarlatano, pericoloso, una frode”.
Scintille a sfondo sessuale nel dibattito tra i candidati alle primarie repubblicane di ieri sera da Detroit, l’undicesimo da quando è iniziata la campagna elettorale. Come riferisce la Cnn, Donald Trump ha aperto la serata parlando delle dimensioni dei suoi genitali, in risposta a una battuta a doppio senso fatta da Marco Rubio nei giorni scorsi circa “gli uomini con le mani piccole”.
Allungando le mani per farle vedere al pubblico, il magnate americano ha sostenuto che il suggerimento “qualcos’altro deve essere piccolo” è falso. “Vi garantisco che non c’è nessun problema”, ha urlato Trump, definendo il giovane senatore della Florida “piccolo Marco”.
Nel corso del dibattito tv, trasmesso da Fox, il magnate americano, al termine di una giornata in cui i politici veterani del partito Mitt Romney e John McCain hanno esortato gli elettori ad abbandonarlo, ha dovuto far fronte agli attacchi di Ted Cruz, Marco Rubio e John Kasich, che alla fine si sono comunque detti disposti a sostenere Trump nelle presidenziali se dovesse vincere la nomination Gop.
Il tycoon ha tenuto, ha incassato ed è riuscito a restare in piedi, mantenendo, a differenza delle altre volte, la calma. “Sono cambiato, la flessibilità è un punto di forza”, ha detto, ammettendo di aver cambiato posizione su importanti temi come la guerra in Iraq e l’accoglienza di rifugiati siriani in America.
Trump si è anche dissociato “totalmente dal Ku Klux Klan. Mi dissocio totalmente da David Duke. Lo sto facendo da due settimane ormai” ha detto rispondendo alle critiche che gli sono state mosse per non aver preso le distanze dai suprematisti bianchi del Ku Klux Klan dopo che il loro ex leader aveva invitato i suoi sostenitori a votare per lui.
Il magnate è tornato invece a sostenere l’opportunità di ricorrere alla pratica del waterboarding e si è anche detto certo che “i militari non si rifiuteranno”. “Credetemi, non si rifiuteranno”, ha sottolineato rispondendo a chi ricordava le parole dell’ex direttore della Cia Michael Hayden secondo cui i militari possono contestare ordini illegali che implichino torture o uccisioni di civili.
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Il Partito repubblicano statunitense ha dato giovedì 3 marzo la prova forse più evidente della spaccatura formatasi al suo interno a seguito del successo alle primarie dell’outsider Donald Trump.
Mitt Romney, candidato repubblicano alla presidenza alle elezioni del 2012, vinte dal democratico Barack Obama, ha tenuto un discorso pubblico di 17 minuti, ampiamente ripreso dall’establishment del partito e interamente dedicato ad attaccare il candidato di punta del fronte conservatore. Trump, ha dichiarato Romney, “ha stracciato tutte le regole della storia politica”. L’ex governatore del Massachusetts ha definito il populista conservatore “un ciarlatano” e “una frode”, e le sue dichiarazioni in materia di sicurezza nazionale “non informante e ovviamente pericolose”. L’assalto a testa bassa di Romney contro il candidato che in questi mesi ha significativamente esteso la base elettorale del Partito repubblicano – gettando però alle ortiche la linea dell’establishment repubblicana, di cui ignora la leadership – è proseguito con questi toni per oltre un quarto d’ora, ed è subito stato sposato dagli avversari di Trump alle primarie, in particolare i senatori Ted Cruz e Marco Rubio.
L’attacco di Romney, che ha di fatto ufficializzato la guerra civile del fronte conservatore, si è concluso con l’invito dell’ex governatore agli elettori repubblicani a votare per un qualsiasi avversario di Trump a partire dalle prossime elezioni primarie. L’obiettivo del Partito è di impedire a Trump la vittoria nei grandi Stati, come Florida e Ohio, dove è maggiore il numero di delegati in palio. Il diretto interessato ha risposto a Romney durante un comizio a Portland, nel Maine, definendolo “un candidato fallito”, e ricordando come lui stesso avesse sostenuto la campagna presidenziale di Romney. “Potete constatare voi stessi che razza di persona sia, quanto sia leale. Era venuto (nel 2012, ndr) supplicando a chiedere il mio sostegno. Avrei potuto chiedergli di inginocchiarsi e l’avrebbe fatto”.
Secondo il “Wall Street Journal”, la mobilitazione di Mitt Romney da parte del Partito repubblicano contro il suo candidato di maggior successo è una mossa i cui rischi potrebbero superare i benefici potenziali.
Leggi anche: Corsa alla Casa Bianca: a novembre battaglia tra Trump e Clinton. Clamorosa spaccatura tra i repubblicani
La rivolta dell’establishment Gop
La giornata in cui l’establishment repubblicano ha dichiarato ufficialmente guerra alla candidatura presidenziale di Donald Trump, si è conclusa con un dibattito che sembrava preparato dai rivali Ted Cruz e Marco Rubio per metterlo in mezzo. Sul palco di Detroit, infatti, i due senatori del Texas e della Florida si sono concentrati ad attaccare il costruttore miliardario, con uno scambio che spesso ha dato l’impressione di scivolare verso una rissa infantile.
Ieri mattina Mitt Romney aveva detto: «Trump è un falso e una frode. Se lo eleggiamo presidente, mettiamo a rischio la sicurezza del paese». Trump aveva replicato così: «Romney è un candidato fallito, ha perso un’elezione vinta. Gli rispondo brevemente, perché è irrilevante».
La guerra civile strisciante in corso nel Partito repubblicano così è scoppiata in maniera ufficiale, con la dichiarazione di guerra dell’ultimo candidato del Gop alla Casa Bianca contro l’attuale favorito delle primarie. Una rivolta anti Trump che ormai mette insieme l’establishment, rappresentanto da Romney, e i neocon, che hanno pubblicato una lettera per condannare Donald, feroce critico di George Bush e della guerra in Iraq.
Mitt, che nei mesi scorsi aveva meditato di ricandidarsi, ha rotto il silenzio con un discorso tenuto nello Utah: «Le promesse di Trump sono false come un diploma alla sua università fallita». L’attacco è stato a 360 gradi. Romney ha messo in discussione il carattere di Trump, dicendo che «è un bullo. Non possiamo lasciare il bottone nucleare nelle mani di una persona così inaffidabile». Quindi ha criticato la sua politca estera: «Vorrebbe lasciare la Siria all’Isis, è un irresponsabile». Poi ha assalito le proposte sull’immigrazione: «Bandire i musulmani? Così non ci aiuteranno nella lotta al terrorismo, mentre ai terroristi basterà mentire sulla loro religione per entrare negli Usa».
Infine ha demolito la sua immagine di uomo d’affari: «I suoi fallimenti sono costati il posto di lavoro e centinaia di americani». Mitt non aveva ancora finito di parlare, quando tutti gli altri candidati presidenziali repubblicani hanno cominciato ad elogiarlo. Così è diventato il leader della rivolta, a cui si sono associati anche i neocon, firmando una lettera contro Donald. Max Boot è arrivato a dire che voterà Hillary, mentre Bill Kristol ha promesso di organizzare la candidatura indipendente di un altro repubblicano.
Trump ha risposto con un discorso in Maine: «Romney è un fallito. Voleva ricandidarsi, ma io l’ho bloccato. In Massachusetts, il suo stato, ho preso più voti io di lui nel 2012. La ragione per cui la gente mi appoggia sono proprio le chiacchiere vuote dei politici come le sue». Pochi analisti pensano che le parole di Romney riusciranno a cambiare le intenzioni degli elettori, che anzi le vedranno come un’ingerenza dell’establishment. Forse però così lui punta a diventare il candidato di consenso su cui convergere, se Donald non riuscisse a vincere abbastanza delegati e la Convention di Cleveland dovesse scegliere a luglio un altro rappresentante.
La sera, poi, i quattro candidati rimasti in corsa, cioé Trump, Cruz, Rubio e il governatore dell’Ohio Kasich, si sono ritrovati a Detroit per il dibattito televisivo, che è proseguito su questa falsariga. Cruz ha rinfacciato a di aver finanziato anche la campagna presidenziale di Hillary Clinton nel 2008, e lo ha accusato di aver mentito agli elettori, perché durante una conversazione rimasta segreta con gli editorialisti del «New York Times» avrebbe detto che le sue promesse sull’immigrazione non sono vere, non intende espellere gli 11 milioni di immigrati illegali, ed è flessibile anche sulla costruzione del muro al confine col Messico. Sollecitato da Ted, Donald ha rifiutato di promettere che pubblicherà la registrazione dell’intervista al Times. Rubio invece lo ha attaccato sulla politica estera, dicendo che è superficiale e non entra mai nei dettagli di ciò che farebbe. L’attacco a Trump del Partito repubblicano ormai è evidente, ma lui risponde che ha dalla sua parte gli elettori, e quindi continuerà a vincere fino a quando non riceverà la nomination presidenziale.
di Paolo Mastrolilli
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da La Stampa
Consuelo
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E’ piuttosto curioso ciò che l’ex presidente della Camera Newt Gingrich ha detto a Fox News : l’istituzione ha paura di Donald Trump perché “non appartiene ad una società segreta” e non è stato coinvolto in uno qualsiasi dei rituali associati a tale gruppi.
http://www.infowars.com/gingrich-establishment-scared-of-trump-because-he-didnt-belong-to-secret-society/
Elmoamf Paglia
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L’Avatar è il mitico John Coltrane, indimenticabile sassofonista Jazz, cui si ispira gran parte della mia gnosi…
Elucubrazioni permettendo, probabilmente sarai sorpreso dal renderti conto di quanto la tua analisi calzi a pennello, invece, con la mia.
Trump è una Exit Strategy (per quella Determinata Nomenclatura… che tende a cambiare per non essere costretta a farlo) per le motivazioni che tu stesso hai sottolineato.
Un contenitore asfittico di “non sense” in cui il boato della massa ribelle viene amabilmente ribollito senza alcun effetto determinante sul cambiamento.
Per certi versi è più pericolosa la Clinton, nemesi di un autodistruzione della Civiltà talmente cristallina per la quale nessuno e dico nessuno, riesce effettivamente a rendersi conto…
Tutti sempre dietro a stantii stereotipi sul sesso e la natura degli angeli!
Un salutone,
Elmoamf
belfagor
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belfagor
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Elmoamf Paglia
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