Il presidente eletto Donald Trump ha comunicato che dal 20 gennaio prossimo, data dell’insediamento, il capo del Pentagono sarà l’ex generale dei Marines James “Mad Dog” Mattis. Si è ritirato nel 2013, dunque ha bisogno di una deroga dal Congresso per poter ricoprire il ruolo, la legge richiede che si sia lasciata almeno da sette anni l’attività operativa.
Mattis è il primo militare a diventare n.1 del Ministero della Difesa Usa dal 1951 (con George Marshall – quello del famoso ‘piano’ – e ai tempi si parlò di una mossa da non ripetere, come ricorda il Wall Street Journal).
Kirsten Gillibrand, senatrice democratica di New York, ha già sottolineato come “il controllo di un civile del Pentagono è uno dei pilastri della democrazia americana”. Questo aspetto controverso è stato sottolineato anche da un funzionario della Difesa che ha parlato in modo anonimo con il Washington Post.
Un altro dei problemi risiede nell’ennesimo conflitto di interesse tipico della futura presidenza Trump: Mattis è membro del consiglio di amministrazione di General Dynamics, una delle piu’ grandi aziende multinazionali Usa fornitrici del Pentagono, che fornisce alle tre armi (esercito, marina e aviazione) un gran numero di sottomarini, blindati, aerei, armi e materiale elettronico.
Sarà James Mattis, un ex generale dei Marines molto popolare tra i suoi soldati, ma scaricato da Obama, il nuovo capo del Pentagono. Lo ha deciso il presidente eletto Trump, confermando la volonta’ di affidarsi a specialisti per i ruoli chiave del governo, contraddicendo la linea dell’amministrazione precedente.
“Devi essere gentile e professionale, ma anche avere un piano per ammazzare chiunque incontri». Nel corpo dei Marines, queste massime del generale James Mattis sono note come “mattisms”, cioé pillole di saggezza da tenere pronte per le situazioni più difficili. Da gennaio questa diventera, la filosofia dominante del Pentagono.
Le massime di James non suonano esattamente come quelle di Sun Tzu, ma questo si spiega col suo soprannome “Mad Dog”, cane rabbioso, guadagnato con anni di rudezza sul campo di battaglia e fuori. Molti nell’ambiente lo considerano un intellettuale, con una biblioteca personale composta da oltre 7.000 volumi, ma anche una persona molto diretta che parla sempre chiaro. Troppo chiaro, secondo il presidente Obama, che nel 2013 lo aveva sollevato in anticipo dall’incarico di capo del Central Command, perché si era opposto al negoziato nucleare con l’Iran. «E quando Teheran non lo rispetterà – aveva chiesto Mattis – cosa faremo? E se lo rispetterà, ma svilupperà comunque le capacità militari convenzionali per minacciarci, come risponderemo?».
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La sua cacciata lo ho inserito automaticamente nella lista dei preferiti di Trump, anche perché a raccomandarlo è stato Michael Flynn, l’ex direttore dell’intelligence del Pentagono esautorato da Obama, prossimo consigliere per la sicurezza nazionale. Qualche tempo fa era stato proprio Flynn a mettere Mattis nell’elenco dei generali che Barack aveva «ridotto in macerie», insieme a Stanley McChrystal e David Kiernen. Questi militari aveva criticato la debolezza dell’amministrazione verso il terrorismo islamico e l’Iran, ed erano stati accantonati. Con Trump si stanno prendendo la rivincita, prospettando una politica molto più aggressiva contro l’Isis e Teheran, e una presenza più attiva in Medio Oriente.
Mattis non viene dall’Accademia di West Point, ma dai corsi ROTC, grosso modo l’equivalente di quello che un tempo era l’ufficiale di complemento nell’esercito italiano. Questo però lo rende ancora più interessante per il non convenzionale Trump, anche perché poi ha fatto esperienza su tutti i campi di battaglia della sua generazione, dalla Guerra del Golfo nel 1991, fino all’Afghanistan e l’Iraq. Proprio prima di partire per l’Afghanistan, aveva tenuto un discorso ai suoi uomini che aveva fatto notizia: «Andiamo a combattere contro tipi che da cinque anni prendono a schiaffi le donne, solo perché non portano il velo: sarà divertente sparare a questa gente, e io sarò in prima linea con voi». Il suo comandante di allora lo invitò a moderare il linguaggio, ma non lo punì. Lui poi combattè anche a Fallujah, ricordando sempre ai suoi uomini di onorare il motto della loro Divisione, parafrasato dall’epitaffio del dittatore romano Silla: «Non c’è miglior amico, e peggior nemico, di un marine». Sollecitava a risparmiare i civili, per non aiutare il reclutamento di Qaeda, ma ordinò il bombardamento che che risultò nel massacro del matrimonio di Mukaradeeb.
La sua scelta dunque conferma la linea che privilegia i falchi, ma avra’ bisogno di una esenzione speciale del Congresso, perche’ la legge vieta ad un militare che ha lasciato il servizio da meno di sette anni di guidare il Pentagono.
di Paolo Mastrolilli
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Stampa, che ringraziamo
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