In arrivo dall’Europa 115 miliardi di euro, l’Ance alza la voce: con quei soldi si potrebbero fare strade, porti o ferrovie, invece spariscono nei rivoli della Pubblica amministrazione, tra sagre e concerti.
I costruttori italiani tornano a chiedere un cambio di passo nella gestione dei fondi europei, ovvero quelli che ogni sei anni l’Ue riversa sui Paesi membri per finanziare tra le altre cose, infrastrutture e ricerca.
In un convegno presso la sede dell’Ance, i costruttori hanno invitato governo e regioni a mettere fine allo spreco di denaro avvenuto coi programmi precedenti, dove la burocrazia frapposta tra Stato centrale ed enti locali ha portato l’Italia a lasciare nel cassetto miliardi, che invece si sarebbero potuti spendere per fare strade o ferrovie. Nei prossimi 5 anni, attraverso il nuovo programma 2014-2020, pioveranno sull’Italia 115 miliardi, di cui 51 sotto forma di fondi strutturali, quelli cioè più diretti allo sviluppo dei singoli territori, da spalmare su 51 programmi nazionali e locali. Di questi, circa 15,8 miliardi interesseranno direttamente il settore edilizio (11,8 da programmi regionali, gli altri 3 da quelli nazionali) finanziandone opere e progetti.
Una cifra che lo stesso presidente dell’Ance, Claudio De Albertis ha definito, senza mezzi termini, “incredibile e pazzesca”. Ma proprio qui sta il problema. Se i soldi sono tanti, come evitare di sprecarli facendoli sparire nei mille rivoli della pubblica amministrazioni? Oppure impedire che i fondi, quando invece spesi, vadano a finanziare opere poco utili alla collettività, tipo sagre o concerti?
I precedenti in questo senso sono impietosi. A fine 2014 l’Italia aveva impiegato solo il 60% delle risorse messe a disposizione dall’Europa. Ancora, alla fine dello scorso anno alla Sicilia erano rimasti sul groppone circa 1,2 miliardi, mentre il grosso dei soldi spesi hanno in gran parte sostenuto eventi minori. Da tale constatazione parte la proposta dei costruttori per mettere fine a questo questo circolo vizioso. Si tratta di invertire il meccanismo di individuazione dei progetti finanziabili coi fondi europei passando “dalla logica dei bandi a quella dei progetti”, ha spiegato De Albertis. “Fino a oggi l’approccio è stato quello di partire dai fondi disponibili, attendendo passivamente i bandi, per pensare poi ai progetti. Bisogna invertire il metodo, ossia partire dai progetti che corrispondono ai bisogni dei territori e non limitarsi a chiedere il mero inserimento di interventi, spesso superati o sovradimensionati, nell’elenco delle opere da finanziare”.
In sostanza i costruttori chiedono che, prima di mettere mano al portafoglio, venga stilata una lista, possibilmente molto ristretta, di progetti realmente utili, per poi coinvolgere le imprese e sostenerle con lo sblocco delle risorse. Finora infatti, il meccanismo in uso presso molte regioni prevedeva lo stanziamento di una cifra su cui poi indire la gare per verificare eventuali interessi e solo all’ultimo redigere il progetto. Per l’Ance bisogna fare l’esatto contrario, prima individuare l’obiettivo concreto e poi contattare le imprese e decidere la cifra da stanziare, così da evitare dispersione di risorse.
Anche perché, secondo De Albertis senza una cera ripartenza delle infrastrutture sarà difficile innestare la ripresa del mercato interno e allora “l’obiettivo di Renzi per un crescita oltre l’1% non si raggiungerà”. C’è però un altro appunto che l’associazione ha mosso nei confronti delle amministrazioni. Sotto accusa c’è il Fondo di Coesione, il veicolo per finanziare gli interventi infrastrutturali con le risorse europee. Soldi che per i costruttori “sono stati più volte impiegati per fronteggiare esigenze di finanza pubblica”, in altre parole per contribuire al risanamento dei conti italiani. Più o meno 8 miliardi utilizzati per “varie finalità” ma tutte lontane dalla destinazione originaria dei fondi, determinando in passato una vera e propria “distrazione delle risorse dagli obiettivi”, hanno denunciato i costruttori. Adesso resta da capire se la stagione infausta dei fondi Ue sia davvero alle spalle, lasciando spazio all’impiego efficiente delle risorse. Domenico Arcuri, numero uno di Invitalia, l’azienda pubblica per la promozione degli investimenti, ha mostrato un certo ottimismo, parlando di una “nuova alba per i fondi europei, dopo che per anni l’Italia si è comportata molto male su questo fronte”. Al di là dei buoni auspici, le somme si tireranno solo tra qualche anno, quando si capirà quanti miliardi sono rimasti, ancora una volta, nel cassetto.