Nome: Domenico Di Fabrizio. Titolo di studio: terza media. Nel 2010 si era candidato alle elezioni comunali per il centrodestra e aveva ottenuto il record di preferenze personali. Bankitalia sapeva.
Raccontano che Luigi D’Angelo, il pensionato di Civitavecchia che si è suicidato dopo aver scoperto di aver perso i risparmi di una vita, era sempre in ansia. Andava nella sede della sua banca, la Banca dell’Etruria, chiedeva spiegazioni e riceveva rassicurazioni che non lo convincevano. Ma continuava a sperare. Fino a quando il “decreto salvabanche” gli ha notificato la rovina. La moglie ora chiede giustizia. Ma aggiunge che la stessa polizia, che pure le è vicina, l’ha invitata alla prudenza. Una parola di troppo e rischierebbe di esporsi a un’azione legale. E’ molto difficile opporsi a un sistema nel quale le responsabilità sono frammentate e diluite in anni di “mala gestio”, come i commissari di Bankitalia sintetizzano le cause delle catastrofi di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti. Ma proprio per questo val la pena di vedere in concreto in cosa questa “mala gestio” poteva arriva a tradursi.
Il sistema malato produceva favori, posti di lavoro, erogava crediti. Finché i soldi continuavano a girare, nessuno vedeva quel che era sotto gli occhi di tutti. Raccontano le cronache che, nel settembre del 2014, a determinare la decisione di commissariare la Cassa di risparmio di Chieti non furono solo le gravi perdite patrimoniali ma anche la scoperta, da parte della Banca d’Italia, di “gravi irregolarità amministrative”. In particolare il mancato avvio di un’azione di responsabilità da parte del consiglio d’amministrazione nei confronti del precedente direttore generale (che quattro anni prima era andato via con un “incentivo all’esodo” di tre milioni di euro) e la riassunzione di un dipendente che “esercita influenza diretta e indiretta sui membri del consiglio”. Una figura potentissima che, sottolineava Bankitalia “ha influenzato, pervasivamente, tutte le attività della banca, dalla politica del personale, alle sponsorizzazioni, alla gestione di favore dei rapporti con le parti correlate”.
Chi era questo personaggio? Un direttore? Un consigliere d’amministrazione? Un supertecnico capace, da una posizione formalmente non di primo piano, di condizionare scelte delicatissime? Niente di tutto questo. Era un autista: Domenico Di Fabrizio. Titolo di studio: terza media. Dicono le cronache che nel 2010 si era candidato alle elezioni comunali per il centrodestra e aveva ottenuto il record di preferenze personali. E che, alle successive elezioni elezioni regionali, aveva sostenuto un consigliere del centrosinistra. Non occupava alcuna poltrona, ma aveva su tutto il sistema della banca un’influenza enorme. Nel 2012 a notare la sua presenza fu un ispettore della Banca d’Italia che la segnalò ai vertici.
Interessante l’ambito nel quale il nome di Di Fabrizio comparve per la prima volta in una relazione di Bankitalia. Subito dopo questo sintetico affresco della situazione di Carichieti: “Modesto sviluppo, eccesso di assunzioni, promozioni in numero del tutto anomalo, riconoscimento di incentivi ad personam non legati ai risultati o alla tipologia di mansioni svolte”. La mala gestio, appunto. Che a un certo punto si tradusse anche nella riassunzione dello stesso Di Fabrizio il quale, dopo la segnalazione del 2012, era andato in pensione. Nel 2013 ritorna e riprende il suo ruolo. Perché – come riporta una cronaca de Il Messaggero – si era sentito in dovere di “stare vicino alla banca”.
Certo, sarebbe ingeneroso e anche sbagliato attribuire a un personaggio del genere la responsabilità del disastro. I responsabili sono tanti. Un mese fa commissari di Bankitalia hanno emesso un “atto di diffida e costituzione in mora” nei confronti di ventidue persone che dal 2010 al settembre del 2014 hanno contribuito alla mala gestio di Carichieti chiedendo a ciascuna di esse la restituzione di circa dieci milioni di euro, la quota individuale di un buco da 208 milioni. Fabrizio Di Francesco, insomma, non è solo. Ma il fatto che un autista abbia potuto assumere un ruolo del genere, è la miglior sintesi della vicenda delle banche fallite. E anche del costume italiano di far convivere la tragedia e la farsa.
Di Fabrizio non è il primo autista che fa carriera. Anzi, nella politica non è raro che questo accada sia in Italia (Francesco Storace prima di diventare ministro e governatore del Lazio era stato l’autista del ras missino Michele Marchio), sia nel mondo (il presidente venezuelano Nicolas Maduro era stato l’autista, oltre che il braccio destro, del suo predecessore Hugo Chavez). Gli autisti possono diventare potenti come i loro datori di lavoro perché ne sentono i discorsi, ne raccolgono le confidenze e anche i segreti. Per diventare banchieri, però, ci vogliono competenze ulteriori. Non basta aver orecchiato le regole della politica. A meno che il sistema del credito e quello politico non si siano completamente confusi. Fino a diventare indistinguibili. Fino alla catastrofe.
di Giovanni Maria Bellu
robyuankenobi
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Cesare58
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Alla fine questi non sono altro che sistemi per consentire ai politici di mettere in posti chiave “teste di legno” manovrabili e in grado di pilotare soldi e favori verso chi ritengono opportuno, senza esporsi minimamente.
Un privato qualsiasi per aprire un bar ha bisogno di requisiti ed esami, un politico può mettere un autista con la terza media a fare il direttore generale di una banca.
Con regole simili noi vorremmo correggere le infinite distorsioni e sprechi del settore pubblico? La mancata correzione di simili storture dimostra che la politica e con essa tutto il settore pubblico, non hanno minimamente intenzione di cambiare, piuttosto affondano con tutto il Paese, ma non cambieranno mai, perchè se cambiassero finirebbero le infinite mangiatoie che hanno sempre consentito e consentono tutt’ora di mantenere il potere e raggiungere grandi arricchimenti personali. L’abbruttimento culturale e dei costumi ha fatto sì che la politica, nel comune sentire attuale, è vantaggio personale, privilegi, mai desiderio di aiutare il proprio popolo. La dimostrazione è che il corrotto di turno beccato con i milioni nella valigia, non viene emarginato, additato al pubblico ludibrio, ma anzi, viene considerato furbo, arrivato, in gamba, e quindi portato quasi in trionfo come se avesse vinto una medaglia alle olimpiadi. L’Italia il Paese delle banane? Ma se non abbiamo nemmeno quelle……