Scandalo Petrobas, corruzione, crollo dei prezzi delle materie prime, contrazione del 2,5-3%; perfino la Russia, dipendente dal petrolio e colpita dalle sanzioni internazionali, riuscirà a fare meglio.
Il Brasile, protagonista della copertina dell’ultimo numero del settimanale britannico “The Economist”, dovrebbe iniziare il 2016, anno delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, con esuberanza; invece, deve affrontare un disastro politico ed economico.
Due agenzie di rating hanno declassato il debito brasiliano al livello “spazzatura” e Joaquim Levy, il ministro delle Finanze nominato dalla presidente, Dilma Rousseff, per risanare i conti pubblici, si è dimesso, meno di un anno dopo aver assunto l’incarico. Per l’economia è prevista una contrazione del 2,5-3%; probabilmente perfino la Russia, dipendente dal petrolio e colpita dalle sanzioni internazionali, riuscirà a fare di meglio. Lo scandalo Petrobras ha gettato nel discredito la coalizione di governo; Rousseff rischia l’impeachment per aver tenuto nascosta l’entità del deficit. Solo scelte difficili possono rimettere il paese in carreggiata e la leader non sembra averne il coraggio.
Il malessere del Brasile, come quello di altre economie emergenti, è legato al crollo dei prezzi delle materie prime, ma le politiche della presidente Rousseff e del suo Partito dei lavoratori hanno peggiorato la situazione. Durante il primo mandato si è speso in modo sconsiderato per pensioni più alte e sgravi fiscali improduttivi a favore di aziende privilegiate. Il disavanzo è passato dal due al dieci per cento tra il 2010 e il 2015. Col debito al settanta per cento del prodotto interno lordo, chi gestisce la crisi non può permettersi il lusso di perdere tempo per avviare le riforme necessarie. La banca centrale non può facilmente ricorrere alla politica monetaria per contrastare l’inflazione, al 10,5 per cento, perché tassi di interesse più alti destabilizzerebbero ulteriormente le finanze pubbliche. Non restano molte scelte al di fuori dell’aumento delle tasse e della riduzione della spesa pubblica. Levy, appoggiato in modo tiepido dalla presidenza, ha provato a ristrutturare l’edificio mentre spegneva il fuoco, ma non ha fatto abbastanza. Il suo successore, Nelson Barbosa, gode di un maggiore sostegno politico.
L’obiettivo principale dovrebbe essere la previdenza, che assorbe il dodici per cento del Pil. La pensione minima è vicina al salario minimo, aumentato quasi del novanta per cento in termini reali nell’ultimo decennio. Le donne vanno in pensione a cinquant’anni e gli uomini a 55, dieci anni prima della media degli Stati membri dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Circa il 90 per cento della spesa pubblica, tuttavia, è protetto dai tagli, in parte dalla Costituzione promulgata dopo la fine del regime militare; il settore pubblico è difficile da riformare; il sistema politico favorisce la frammentazione e la compravendita dei voti.
Che succederà se Rousseff fallirà nel cambiamento? La maggior parte dell’indebitamento è in valuta locale, quindi un default è improbabile. La recessione bloccherà il processo che ha portato decine di milioni di brasiliani fuori dalla povertà. La speranza è che la conquistata stabilità economica e democratica non ceda di nuovo il posto al caos.