Il “dieselgate” sarà probabilmente solo un acceleratore della svolta. Che, pur ancora relativamente lontana, è già in atto e porterà una rivoluzione culturale nel mondo dell’auto e nella percezione della mobilità. Che sarà elettrica, ibrida, a gas, oppure mossa dall’idrogeno: questa è la scommessa. Occorrerà vedere chi ha intuito in anticipo la tecnologia giusta, comunque e per forza “sostenibile” grazie ad una nuova coscienza sociale condivisa che si sta rapidamente affermando.
È questo lo scenario emerso dal simposio su automotive ed ecosistema organizzato da Alcantara, marchio italiano che ha fatto della sostenibilità il suo credo aziendale, e dall’International University di Venezia. Cina e Giappone hanno discusso qui la prospettiva asiatica, da punto di vista cioè di chi di auto sta soffocando (la Cina) e di chi sulla tecnologia per le auto ha dimostrato di saper vedere più lontano di tutti (il Giappone) adottando già da molto tempo l’ibrido come soluzione ideale a medio termine.
Sullo sfondo, la presenza ingombrante dello scandalo Volkswagen e le voci sempre più insistenti di una possibile class action da 40 miliardi di euro intentata dagli stessi grandi azionisti del Gruppo tedesco che – sommata a quelle internazionali, alla mega multa da 13 miliardi minacciata dall’autorità Usa, alle spese per richiamare milioni di vetture con le centraline truccate e alla perdita di capitalizzazione in Borsa – potrebbe risultare distruttiva per il futuro del marchio. Seppure si sia ancora a livello di indiscrezioni, la stampa tedesca ha già messo nero su su bianco lo scenario di 6.000 esuberi nelle fabbriche tedesche del Gruppo, mettendo peraltro in grande imbarazzo la cancelliera Angela Merkel che per garantire sostegno ai lavoratori si troverebbe costretta a varare una formula ad hoc che consenta il ricorso agli ammortizzatori sociali.
La “tempesta” dieselgate intanto è diventata perfetta per sdoganare l’elettrico e le sue innegabili criticità. E ingrassare le aspirazioni e l’ascesa dei marchi alternativi made in Usa: dalla visionaria Tesla che produce veicoli a batteria d’alta gamma, a Google e Apple che si affacciano ora nel settore con grandi ambizioni. È già una certezza infatti che la ricaduta della vicenda Volkswagen sarà consistente anche sul piano delle scelte tecnologiche. I costruttori tradizionali, con Fiat-Chrysler in testa che ha impostato la sua scelta ecologica su metano e Gpl, faticheranno non poco ad affrancarsi da benzina e gasolio. Ma è convinzione comune, più sulla spinta emotiva del momento che per ragioni obiettive, che i motori diesel avranno vita sempre più difficile, almeno per come sono concepiti oggi.
Molto dipenderà in Europa dai nuovi criteri imposti dai test di omologazione ma la stessa Volkswagen, e molto prima dello scoppio dello scandalo, aveva dirottato ingenti investimenti sull’elettrico facendo debuttare prototipi ad alte prestazioni e ad autonomia estesa. Quello che manca, e ancora mancherà a lungo in gran parte del mondo, è un sistema di infrastrutture che possa assorbire una svolta così radicale. Che l’industria dell’auto ha già messo in preventivo, ma che il mercato ancora non può considerare per il tipo di offerta proposta. L’urgenza di una mobilità più sostenibile, volta a non inquinare e a consumi ridotti insomma, paradossalmente diventa più forte in Paesi che sino a ieri la sostenibilità nemmeno sapevano cosa fosse. Ma che oggi, stritolati dallo smog e dal traffico, vedono come prospettiva vitale. «In Cina l’auto elettrica sta facendo passi da gigante», ha detto Ye Wu, della Scuola dell’Ambiente dell’Università di Tsinghua, ricordando la drammatica realtà di un Paese dove il quarto motivo di mortalità nelle città è rappresentato dall’inquinamento provocato delle auto. E l’inquietante prospettiva indicata per il 2030, quando i veicoli circolanti saranno tra i 350 e i 500 milioni. «Solo a Pechino per questo già oggi esistono più di 7.200 colonnine di ricarica per le vetture a batteria, e la diffusione di forme di motorizzazione alternative – ha detto ancora Yu – secondo i nostri calcoli dovrebbe portare in tempi accettabili ad una riduzione di oltre il 40% dei consumi del petrolio».
Un’altra via, parallela ma completamente diversa, è quella che stanno seguendo i marchi giapponesi con Toyota in testa, primo produttore mondiale e ora fatalmente destinato a veder aumentare il distacco su Volkswagen. Dopo aver inventato e insistito sulla tecnologia ibrida, la stessa Toyota ha annunciato che abbandonerà definitivamente i carburanti tradizionali entro il 2050. Ma già ora è un passo avanti e sta puntando decisamente sull’idrogeno con il “progetto Mirai” che apre una nuova strada verso le motorizzazioni ad emissioni zero. «Lo sviluppo delle vetture a fuel cell – ha però ammesso Yasuhiro Daisho, cattedratico di Scienza e Ingegneria dell’Università di Waseda – dipende dalla decarbonizzazione dell’idrogeno e dall’implementazione della rete di vendita di questo carburante. La svolta decisiva, al di là delle tecnologie, deve essere di tipo concettuale: consumare meno e usare in modo diverso l’automobile».
di Alberto Caprotti
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Avvenire