Che la Sanità in Italia fosse considerata alla stregua di un qualsiasi altro “business” è chiaro da tempo. Servizio al cittadino significa, però, fornire gli strumenti per aumentare la qualità della vita delle persone, dunque anche la propria salute.
A volte servono farmaci per ottenere di stare bene, ma sempre più spesso accade che non tutti possano permetterseli. Chi può, invece, cerca una soluzione, come nel caso dell’epatite C, le cui cure possono arrivare a cifre spropositate, ovviamente non coperte dal Sistema sanitario nazionale. E capita che qualcuno cerchi una soluzione più economica, ma niente affatto meno efficace. E ora arriva una sentenza che potrebbe regalare qualche sorriso in più ai pazienti e qualche forte mal di pancia alle case farmaceutiche.
Perché qualche giorno fa la Corte di appello di Roma ha dato ragione a un malato di epatite C che aveva acquistato in India il farmaco generico per curare la malattia a 2.500 dollari e che gli era stato bloccato alla frontiera. Il medicinale, in questo caso comprato online con un bonifico, in Italia costa circa 44 mila euro e il sistema sanitario lo passa solo ai pazienti più gravi. Come riporta Repubblica il medicinale era stato bloccato alla frontiera a Ciampino il 9 giugno scorso ma il 2 settembre una sentenza della corte d’Appello di Roma ha imposto di restituire al paziente il farmaco sequestrato. «L’ospedale non voleva darmi la cura – ha dichiarato il paziente – e avrei dovuto attendere che la malattia peggiorasse». Ora resta da chiarire se e quanto questa sentenza potrà spostare le regole del commercio di farmaci.
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Sono oltre un milione, in Italia, i pazienti portatori cronici del virus dell’epatite C, di cui 330 mila con cirrosi. L’Italia ha il primato in Europa per numero di soggetti positivi al virus e per mortalità da tumore primitivo del fegato. Sono quindi decine di migliaia a le persone che attendono il farmaco contro l’epatite C, il sofosbuvir, (un antivirale che inibisce l’enzima per la replicazione del virus), che però essendo molto caro, è destinato ai casi più gravi (per acquistarlo sono stati destinati circa 750 milioni di euro del fondo sanitario nazionale). Fino ad oggi però solo 45 mila pazienti sono riusciti ad ottenere la terapia. In Italia spetta all’Aifa stabilire i prezzi dei farmaci e non è ammesso l’acquisto all’estero per motivi di sicurezza perché non sarebbe possibile tracciare la provenienza ma anche per motivi economici. Sul superfarmaco per pochi era già stata aperta un’inchiesta dal procuratore Raffaele Guariniello nel 2015 che aveva ipotizzando omissione di cura e lesioni .
Il Sofosbuvir è il primo farmaco che promette di eliminare completamente il virus dell’epatite C, virus che in Italia colpisce circa un milione di persone anche se una larga fetta dei portatori non sa di averlo, causando 11 mila morti l’anno. Nel mondo secondo l’Oms ci sono 150 milioni di persone con l’epatite C cronica, e tra 350 e 500mila morti per questa infezione. L’Italia è uno dei paesi europei con il maggior numero di malati. Ad essere portatori dell’infezione sono soprattutto i cosiddetti «baby boomers», che si sono infettati prima che si isolasse il virus a causa di trasfusioni, strumenti chirurgici non sterilizzati e in generale cattive condizioni igieniche
È di qualche giorno fa l’appello della Federazione nazionale degli oOrdini dei medici chirurgi e odontoiatri che chiedeva di rendere i farmaci anti epatite C accessibili a tutti i malati affrontando di petto il nodo dei costi con il ricorso alla «licenza obbligatoria» che consentirebbe allo Stato di produrre il generico a un prezzo inferiore e dunque sostenibile per le casse del Servizio sanitario nazionale. Vista la situazione d’emergenza per la Salute pubblica, potrebbero esserci le condizioni affinché lo Stato chieda, pagando una royalty alla casa farmaceutica, di poter produrre il generico, ovviamente a un prezzo inferiore.
«Gli alti costi del farmaco Sofosbuvir che annulla la presenza nel sangue del virus dell’epatite C in modo da evitare l’evoluzione in cirrosi e tumori epatici sta creando una grande discriminazione tra pazienti gravi, che hanno accesso alle cure a carico del Servizio sanitario nazionale e pazienti in fase iniziale di malattia che vedono negare queste possibilità fino all’aggravamento della patologia – spiegano i medici – . Questa condizione di profonda ingiustizia sociale e disequità nell’accesso alle cure è eticamente non tollerabile soprattutto quando è in gioco il diritto alla tutela della salute come previsto dalla nostra Costituzione. Non è tollerabile che la determinazione del costo delle innovazioni sia lasciato esclusivamente all’economia di mercato e che un farmaco il cui costo di produzione è inferiore a 200 euro venga fatto pagare oltre 30mila euro per un mero fatto monopolistico/brevettuale in rapporto alla ricchezza di ciascun paese, inibendo l’accesso al beneficio di migliaia di cittadini».
robyuankenobi
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carla
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