Etruria, una banca a misura di amici degli amici (del Pd e della Boschi)

A maggio del 2014 l’ex sindaco di Arezzo, il dem Giuseppe Fanfani (“nipotissimo” di Amintore) applaudiva i vertici dell’Istituto. In prima fila politici soci, tutti in quota “Mari” …

A maggio del 2014 l’ex sindaco di Arezzo, il dem Giuseppe Fanfani (“nipotissimo” di Amintore) applaudiva i vertici dell’Istituto. In prima fila politici soci, tutti in quota “Mari”

Un management eccezionale, un gruppo dirigente che va ringraziato, se non applaudito. Nell’Assemblea di Banca Etruria che il 4 maggio 2014, quando il crac è ormai alle porte, nomina Pier Luigi Boschi vicepresidente e Lorenzo Rosi (indagato) numero uno dell’istituto, c’è un partecipante entusiasta.

Si chiama Giuseppe Fanfani, e il cognome dice molto non solo perché è il nipote («il Nipotissimo» lo chiamano in città) di Amintore Fanfani, il gran capo della Dc cinque volte presidente del Consiglio, ma anche perché è il sindaco Pd di Arezzo, patria della Banca Etruria. Al fianco del Nipotissimo ci sono altri politici toscani, tutti in quota «Mari» (la ministra). Come l’onorevole Pd Marco Donati, titolare anche lui di un pacchettino di azioni di Banca Etruria, amico personale di Maria Elena e del fratello Emanuele (dirigente della banca), tra gli invitati al suo matrimonio con una dipendente della stessa banca.

Poi, oltre ad un assessore e un consigliere regionale Pd, anche la senatrice aretina Donella Mattesini, anche lei arrivata in Parlamento in quota «Mari». Chi prende la parola in Assemblea però è solo il sindaco Fanfani, «in qualità di socio e amico della banca», e manca solo lo champagne. «Il sindaco Fanfani ringrazia, a nome di tutta la città – si legge nel verbale della riunione – coloro che a diverso titolo nel corso del tempo hanno retto le sorti della Banca ed esprime riconoscenza al Presidente Fornasari per aver guidato l’istituto con serietà ed impegno in un periodo a tutti noto come il più difficile dal Dopoguerra». Fornasari è uno dei tre ex manager della banca indagati dalla Procura di Arezzo con l’accusa di dichiarazione fraudolenta mediante fatture relative a operazioni inesistenti. Ma andiamo avanti col verbale del 4 maggio 2014 e con le parole dell’allora sindaco Fanfani, che dopo aver ringraziato Banca Etruria «per il sostegno dimostrato ad Arezzo», ammonisce la comunità dei cittadini-risparmiatori prescrivendo un imperativo morale categorico: «È precipuo dovere dei singoli e della collettività attivarsi affinché la Banca possa continuare a sostenere l’economia e l’occupazione. L’avvocato Fanfani dichiara inoltre che è necessario dare fiducia a coloro che hanno saputo ricreare unità di intenti (cioè i vertici che hanno portato al dissesto la banca, ndr), sul presupposto che la forza di qualsiasi iniziativa è rappresentata dalla capacità degli uomini di essere animati da forti tensioni etiche. Chiude l’intervento evidenziando che nessuno oggi possa chiamarsi fuori dalla sfida di salvare la banca». In effetti il governo Renzi lo ha preso in parola e ha salvato Banca Etruria con decreto legge, mandando però in rovina migliaia di piccoli risparmiatori.

Fanfani è stato sempre uno strenuo difensore delle scelte della banca, nel 2014 si schierò contro l’offerta di acquisto di Banca Popolare Vicenza che avrebbe potuto rimettere in sesto i conti della Pop Etruria («Dobbiamo difendere le prerogative del nostro territorio», disse il sindaco). Ma la difesa della banca non è solo politica, è anche legale. Lo studio dell’avvocato Fanfani, infatti, storico partner legale della banca, difende ora il direttore centrale e responsabile del Risk Management di Banca Etruria, David Canestri, anche lui indagato per ostacolo alla vigilanza. Il suo avvocato si chiama Luca Fanfani, figlio. Il padre, l’avvocato Giuseppe Fanfani, non può occuparsene di persona, perché è vero che non è più sindaco di Arezzo (città passata alle ultime amministrative al centrodestra, dopo decenni di centrosinistra). Bensì perché ha un incarico ben più prestigioso, da fine 2014: componente del Csm, il Consiglio superiore della magistratura. Arrivato, ça va sans dire, in quota Pd con l’imprimatur di Renzi ma soprattutto di madame Boschi.

di Paolo Bracalini

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito de ilGiornale

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