E’ la Norvegia il Paese più felice al mondo, la Repubblica Centrafricana il più infelice, mentre l’Italia è 48esima su 155, dietro all’Uzbekistan e davanti alla Russia. E’ questa la ‘fotografia ‘scattata’ dal World Happiness Report diffuso in occasione della Giornata mondiale della Felicità che cade il 20 marzo.
La felicità non si misura con le ore di sole
I Paesi scandinavi sono tutti nella Top 10: sul podio insieme alla Norvegia (balzata dal quarto posto del 2006 alla vetta della classifica) ci sono la Danimarca e l’Islanda, quarta la Svizzera. A seguire Finlandia, Olanda, Canada, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. La forte presenza di Paesi nordici, a dispetto dei luoghi comuni sulla depressione per le lunghe notti invernali, è dovuta alla bassa corruzione e al buon funzionamento dei servizi.
Che cosa dice la ricerca
La ricerca si basa ogni anno sulle interviste di oltre mille persone in 155 Paesi. A ciascuno viene posta una semplice domanda: “Immagina una scala, con i gradini numerati da 0 a 10. La parte superiore della scala rappresenta la miglior vita possibile per te e la parte inferiore la peggiore. Su quale piolo diresti che ti senti in questo momento?”. Il rapporto inserisce nell’analisi anche le statistiche su vari fattori:
- reddito (misurato in Pil pro capite)
- aspettativa di vita
- dalla libertà di scelta
- corruzione percepita
- buon governo
- la generosità
- l’onestà
- la salute
Americani sempre più insoddisfatti
Nella parte superiore della classifica ci sono molti Paesi europei (ma anche il Costa Rica, al 12esimo posto) e gli Stati Uniti, dove però -fanno notare gli autori della ricerca- la felicità è in diminuzione: terzo nel 2007 tra i Paesi Ocse, gli Usa nel 2016 sono precipitati al 14esimo; la ragione è nel “declino del sostegno sociale e un’aumentata corruzione, che sono le stesse ragioni del perchè i Paesi scandinavi si piazzino così bene”.
I soldi non fanno la felicità. Nemmeno in Cina
Interessante anche la situazione della Cina, al 79esimo posto: nonostante la notevole crescita del reddito ‘pro capite’ negli ultimi 25 anni anni, pesano negativamente l’aumento della disoccupazione e la riduzione degli ammortizzatori sociali. (AGI)