Flessibilità, no di Juncker: “L’Italia non avrà altro”. Renzi: “Non decide lui”

Ennesimo scontro tra il premier italiano e il presidente della Commissione Ue. L’Europa vuole rigore nei conti pubblici ora che i mercati sono volatili, esattamente come nel 2008. …

Ennesimo scontro tra il premier italiano e il presidente della Commissione Ue. L’Europa vuole rigore nei conti pubblici ora che i mercati sono volatili, esattamente come nel 2008. E sappiamo tutti com’è finita.

“Juncker non è d’accordo? Le politiche di flessibilità sono un dato di fatto oggettivo della Commissione europea, è stata questa commissione a rilanciare sulla flessibilità. L’austerità non è solo risparmio, ma è pensare che si possa fare a meno della crescita e degli investimenti e che l’unico modello è rigore e budget”. Così parlò Matteo Renzi.

Un merito va riconosciuto al capo del governo italiano, ed è quello di non tirarsi mai indietro quando c’è da far polemica. Anche se “l’avversario” è il temibile euroburocrate Jean-Claude Juncker, anche se la sua temibilità deriva dall’apparato che gli è alle spalle e lo sostiene, piuttosto che dall’imponenza della sua personalità politica. In pochi giorni Renzi è riuscito a battibeccare a distanza con il consigliere economico della Merkel, che gli ha detto di essere “sfacciato”, e con il presidente della Commissione Ue, che molto più preoccupantemente gli ha replicato di “non chiedere più nulla” perché ha avuto già troppo. Cosa voleva il premier italiano? Il solito: la flessibilità.

In realtà spetterebbe di diritto ai Paesi membri dell’Unione europea, ma l’intelaiatura così volutamente incompleta di questi organismi comunitari permette di passare sopra le regole e sopra la sovranità di ogni Stato che ne faccia parte.

Tanto che il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, è arrivato a dichiarare pubblicamente che “con mercati volatili occorre mano ferma sui conti pubblici”. In realtà i conti pubblici andrebbero tenuti in ordine sempre e comunque, ma al di là di questo, la storia recente ha dimostrato che i Paesi sottoposti ad Austherity sono anche più deboli nella crescita, dunque più facilmente attaccabili da parte della speculazione internazionale. La stessa che incide pesantemente sulla volatilità dei mercati.

Che l’Europa non abbia saputo affrontare gli attacchi degli ultimi 8 anni è un dato acclarato, ma ora il problema si sta espandendo a macchia d’olio in tutto l’Occidente. E l’attacco concentrico a cui sono sottoposte le Borse del Veccio continente ne sono una prova evidente. Ma se stavolta non si esce dalla morsa con politiche di sviluppo e crescita, a morire non sarà solo l’Europa delle istituzioni.

Red.it

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