Il politically correct imperversa. Infatti pochi hanno il coraggio di dire la sconveniente verità: anche se ha dovuto scusarsi, il ministro (e gli altri prima di lui) dice cose giuste.
Le scuse non bastano a fugare le nubi di tempesta che si addensano sul ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. “Non mi sono mai sognato di pensare che è un bene per l’Italia il fatto che dei giovani se ne vadano all’estero” ha detto dopo che sul web si è diffusa alla velocità della luce una sua affermazione riportata dalla stampa su alcuni giovani andati all’estero, “questo Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”.
“Evidentemente mi sono espresso male e me ne scuso”, si legge nella nota di precisazione.
“Penso, semplicemente”, aggiunge, “che non è giusto affermare che a lasciare il nostro Paese siano i migliori e che, di conseguenza, tutti gli altri che rimangono hanno meno competenze e qualità degli altri. Ritengo, invece, che è utile che i nostri giovani possano fare esperienze all’estero, ma che dobbiamo dare loro l’opportunità tornare nel nostro paese e di poter esprimere qui le loro capacità e le loro energie”.
Ma il danno ormai è fatto e su Twitter fa furore l’hasthag #PolettiDimettiti, in cima alle tendenze davanti persino a #Berlinattack. E l’indignazione è trasversale: ai politici come Luigi Di Maio si affiancano giornalisti come Massimo Gramellini e Peter Gomez.
In una lunga lettera a L’Espresso, una ricercatrice italiana sceglie il metodo più classico, l’argomentazione ben oltre il vincolo dei 140 caratteri, per illustrare le ragioni di chi l’Italia l’ha dovuta lasciare per trovare lavoro.
Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più, non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci. Parlo dei voucher, Ministro.
La ricercatrice cita colleghi come Giulio Regeni, il giovane ucciso al Cairo mentre lavorava auno studio sulla repressione dei movimenti sindacali da parte del regime egiziano, ma anche del saldatore ‘a voucher’ che ha perso quattro dita sul lavoro o dei tanti costretti a lavorare in nero.
I colpevoli siete voi che non credete nell’istruzione e nella cultura, che avete tagliato i fondi a scuola e università, che avete approvato la buona scuola e ora imponete agli studenti di andare a lavorare da McDonald e Zara.
Il ‘Fatto Quotidiano’ traccia un parallelismo tra le parole di Poletti e quelle di Claudio Scajola, che definì “rompicoglioni” Marco Biagi, il giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 dalle nuove Brigate Rosse.
Ricercatori, ma anche liberi professionisti di livello, imprenditori, inventori di start up: per Poletti meglio che se ne siano andati, ad arricchire con le loro conoscenze, la loro capacità di intuito e di analisi, la loro immaginazione e fantasia, altri paesi.
Non è la prima volta che Poletti attira su di sé le ire dei laureati. Poco più di un anno fa se ne uscì con un’altra frase destinata a scatenare ondate di polemiche: “rendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21”.
Ma non è l’unico, tra i vertici delle istituzioni, a primeggiare per impopolarità tra i giovani.
In ottobre è stato il ministero dello Sviluppo economico a fare una gaffe non da poco: la blogger Eleonora Voltolina aveva trovato in un opuscolo destinato agli investitori esteri un invito forse allettante per loro, ma non lusinghiero per i lavoratori italiani il cui senso era questo: costano poco anche quando hanno un elevato tasso di scolarizzazione.
Nell’ottobre del 2012 fu l’allora ministro del Lavoro, Elsa Fornero, a finire sotto il fuoco delle polemiche per una frase sui giovani che non devono essere troppo schizzinosi al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro.
“Non devono essere troppo choosy nella scelta del posto di lavoro. Meglio cogliere la prima occasione e poi guardarsi intorno”
Dieci mesi prima, nel gennaio del 2012, era stato il viceministro del Lavoro, Michel Martone, a dare degli ‘sfigati’ ai giovani: “Se a 28 anni non sei ancora laureato – aveva detto partecipando a un incontro sull’apprendistato – sei uno sfigato. Bisogna dare messaggi chiari”.
Nell’ottobre del 2007 era stato l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa a usare un termine destinato a diventare di uso comune nel dibattito politico. Le misure a favore delle famiglie, disse presentando la finanziaria, serviranno anche “a mandare i ‘bamboccioni’ fuori di casa. Cioé incentivare l’uscita di casa da parte dei giovani che adesso restano fino a età inverosimili con i genitori. Non crescono mai, non si sposano, non si rendono autonomi”.
Fonte: AGI
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http://www.huffingtonpost.it/2016/10/06/rapporto-migrantes-emigrati_n_12370826.html
https://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=84393