Parole? No, non solo. Lo spettro della Grexit, l’uscita della Grecia dall’euro, è stata la scorsa settimana ben più che un’ipotesi di scuola cavalcata dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble. Anzi. Per la prima volta nella storia dell’Unione europea – ad Atene come a Bruxelles – decine di esperti si sono messi attorno a un tavolo per provare a capire concretamente come si poteva portare Atene fuori dalla moneta unica. Formulando ipotesi, incrociando algoritmi e scenari con il serio rischio di verificarne a stretto giro di posta la correttezza nella realtà.
Lo studio più approfondito l’ha fatto mettere a punto, probabilmente con la morte nel cuore, Jean Claude Juncker. Negli ultimi giorni di giugno, di fronte al rischio di fallimento delle trattative, ha convocato una quindicina di funzionari d’alto livello della Ue e ha chiesto loro di stilare un vademecum agile e pratico sulla Grexit. Il risultato è un documento riservatissimo con 200 domande e risposte custodito oggi in una cassaforte al 13esimo piano del Berlaymont Building di Bruxelles, come ha scritto Kathimerini, a fianco dell’ufficio del presidente della Commissione.
Lo scenario disegnato in queste pagine calcola i costi sociali e finanziari di un ritorno alla dracma, stima di quanto si dovrebbe tagliare il debito e il volume di aiuti umanitari necessari per evitare una tragedia sociale ad Atene. I funzionari avrebbero pure esaminato un’ipotesi ancora più drastica: la potenziale uscita delle Grecia non solo dalla divisa unica ma pure dall’Unione europea.
Questo studio, per ora e per fortuna, è rimasto un esercizio virtuale. Un suo effetto positivo l’ha però già avuto. Juncker avrebbe consentito ad Alexis Tsipras di dargli una sbirciatina il 7 luglio, due soli giorni dopo il referendum. E proprio l’edificante lettura sarebbe stata uno degli elementi decisivi nel convincere il premier ellenico a trangugiare l’ennesima cura lacrime e sangue imposta dalla Troika. Lo stesso leader di Syriza avrebbe commissionato a un team di specialisti un rapporto simile sul rischio Grexit. La sintesi gli sarebbe stata consegnata proprio nelle ore in cui il Paese festeggiava in piazza il “no” al referendum. Rovinandogli la festa.
«Il senso della sconfitta l’ho avuto proprio la sera del 5 luglio quando sono arrivato a Megarou Maximos, la residenza della presidenza del Consiglio – ha raccontato Yanis Varoufakis – . Ero convinto di trovare tutti in festa. Invece c’era un clima da funerale ». Colpa del drammatico quadro dipinto dal dossier sul ritorno alla dracma appena planato sul tavolo di Tsipras: cifre inequivocabili che fotografavano un Paese devastato dall’inflazione alle stelle, dal crollo del Pil e da un’altra impennata della disoccupazione e delle tensioni sociali. Quanto è bastato per convincere il primo ministro ad abbandonare l’idea di un addio alla moneta unica e ripresentarsi a Bruxelles per trattare le condizioni per rimanere nell’euro.
A conclusioni opposte è arrivata invece la minoranza del suo partito. I rappresentanti della Piattaforma di sinistra non hanno mai fatto mistero negli ultimi mesi che l’ipotesi della Grexit era per loro una scelta politica concreta e praticabile in caso di rottura con la Troika. E di fronte al braccio di ferro dopo il referendum e al deludente (dal loro punto di vista) compromesso concordato a Bruxelles, hanno studiato come trasformarla in realtà senza fare troppi calcoli sulle conseguenze economiche e sociali.
Il piano dei radicali di Syriza – ha scritto la stampa ellenica ricevendo solo tiepide smentite – sarebbe stato illustrato dal leader della corrente Panagiotis Lafazanis ai suoi in un albergo alla vigilia del voto in Parlamento: un copione quasi cinematografico fatto da un’incursione alla zecca di Atene delle forze di polizia, il sequestro dei 22 miliardi di euro di riserve della Banca di Grecia per pagare stipendi e pensioni e prendersi così il tempo per riprendere a stampare la dracma. Questo progetto un po’ hollywoodiano, come quello di Juncker e di Tsipras, è finito per ora in naftaliana. E tutti sperano, senza crederci troppo, di non doverlo più tirare fuori dal cassetto.
di Ettore Livini
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Repubblica.