Le banche centrali sono ancora nel mirino di mercati, analisti ed economisti. Per essere più precisi, è lo scarso coraggio degli istituti, che in alcuni casi viene descritto al limite dell’ignavia, ad essere indicato come causa principale della mancata ripresa (per l’Europa) o della crescita lenta (Usa).
“Nonostante anni di quantitative easing e di tassi di interesse più bassi che mai, le politiche monetarie non sono riuscite a impedire che la crescita economica, quasi ovunque, continuasse annualmente a risultare deludente, da otto anni a questa parte”. È l’opinione di Didier Saint-Georges, membro del comitato Investimenti e Managing director di Carmignac, che traccia una propria analisi per il “Sole 24 Ore”.
Se gli istituti centrali ammettessero i propri insuccessi, a detta del manager, accadrebbero tre grandi conseguenze. La prima è che “ciò che doveva essere un rimedio di natura straordinaria e temporanea per contrastare la grande crisi finanziaria sta diventando perenne. Le banche centrali sono costrette a mantenere politiche monetarie estremamente accomodanti. I mercati si compiacciono di questa situazione, ma il problema per l’economia reale è rappresentato dal fatto che queste politiche si trovano sempre più in contrasto con la legge dei rendimenti decrescenti: il loro impatto si esaurisce man mano che i tassi d’interesse raggiungono livelli estremamente bassi”.
La seconda è, invece, “un aumento del rischio economico: malgrado i tassi restino bassi all’infinito, l’assenza di crescita nominale non consente di ridurre gli squilibri finanziari a livello statale. Allo stesso tempo, il business model del settore bancario subisce contraccolpi. Il problema della sostenibilità del debito, e della fragilità del settore bancario in un contesto di crescita troppo debole, rappresenta un rischio significativo per la stabilita’ finanziaria globale in prospettiva futura. Il pericolo che le banche centrali perdano credibilità, impegnate a perseguire un obiettivo che sfugge al controllo, accentua questo rischio”.
E di conseguenza, prosegue ancora Saint-Georges, “ciò determina la terza conseguenza dell’insuccesso delle banche centrali: sta crescendo la pressione sui governi per la ripresa del controllo della situazione, tramite politiche fiscali e di bilancio. La crescita economica torna a essere una questione politica di primaria importanza nei fitti programmi elettorali e alimenta richieste di stimolo economico a tutto campo da parte degli elettori, ignorati da otto anni. Per i mercati, sia obbligazionari sia azionari, si tratterebbe di un radicale cambiamento d’impostazione, dopo otto anni di mercato continuamente influenzato principalmente dagli interventi delle banche centrali. Vale quindi la pena che questa transizione, ancora ipotetica, sia valutata dagli investitori in termini di gestione dei rischi”.
Anche Michele De Michelis, responsabile degli investimenti di Frame Asset Management, al “Sole 24 ore” parla di banche centrali. Azzardando la richiesta di un loro maggiore coinvolgimento, ma abbandonando definitivamente l’austerità, pur senza dimenticare di tenere sotto controllo l’inflazione. Che potrebbe provocare un “crash dei mercati azionari, che costituirebbe un ottimo entry point soprattutto per quanto riguarda le azioni di quelle società che dispongono di un buon price power e non sono particolarmente indebitate”.
Ma queste “considerazioni”, ammette, “lasciano il tempo che trovano se dovessimo continuare a rimanere impantanati nelle sabbie mobili dell’austerity”.