Fra il 2000 e il 2014, con il Pil in crollo -7,5%, il fatturato di giochi, lotterie e scommesse è cresciuto in termini reali del 350%, a 84 miliardi e mezzo.
C’ è chi sostiene che in fondo è un fenomeno naturale: si sa che durante i periodi di crisi aumenta il numero di quanti si affidano alla sorte. Sarà. Ma l’ ineluttabilità di questo rapporto fra causa ed effetto può spiegare solo in parte, e in una parte molto piccola, quello che è successo in Italia. Fra il 2000 e il 2014, in un Paese dove il Pil procapite crollava del 7,5 per cento, il fatturato del gioco d’ azzardo è cresciuto in termini reali del 350 (trecentocinquanta) per cento, a 84 miliardi e mezzo. Il 5 per cento del nostro prodotto nazionale.
Per capirci: mentre la disoccupazione galoppante distruggeva a ritmi mai sperimentati nel secondo dopoguerra la ricchezza prodotta da ogni italiano, le bische legalizzate ingrassavano. Succhiando oltre il 10 per cento della cifra che gli italiani destinano ai consumi privati e facendoci così conseguire negli ultimi quindici anni l’ unico record che possiamo vantare in Europa, per quanto niente affatto edificante. Quello, appunto, del giro d’ affari del gioco d’ azzardo.
Con alcune significative implicazioni. Per esempio, il numero dei siti internet spuntati come funghi: trecentonovantuno. Niente male, per un Paese che sta ancora faticosamente superando la soglia dell’ analfabetismo informatico. Per esempio, il numero delle slot machine: sono una ogni 140 residenti nel nostro Paese, neonati compresi. Con una diffusione pressoché doppia rispetto al resto dell’ Unione europea. E anziché diminuire, come prevede la legge, minacciano addirittura di aumentare. Conosciamo le argomentazioni dei sostenitori di questo gigantesco e maleodorante business. Se non fosse legale, sarebbe consegnato alla criminalità organizzata, e poi lo Stato incassa un sacco di soldi che altrimenti dovrebbe rastrellare aumentando le imposte, senza dire dei 120 mila addetti che ci lavorano. Come se quella del gioco d’ azzardo non fosse di per sé una tassa occulta, e il sistema delle concessionarie, molte delle quali hanno sede a Cipro, Malta o Gibilterra, oppure hanno il capitale schermato da società fiduciarie, non contenesse elementi di opacità.
Quanto alla criminalità organizzata, che sia fuori dal giro è tutto da dimostrare. E questo è il meno al confronto delle conseguenze sociali se è vero, come sostengono alcuni studi autorevoli, che la ludopatia colpisce ormai un italiano su 75. Una situazione che ha responsabilità ben individuate e condivise. Da una parte lo Stato, dall’ altra una lobby assai influente, capace com’ è di rispondere colpo su colpo a ogni tentativo di ridimensionarne la sfera d’ azione. Particolarmente istruttivo quello che è successo con l’ ultima legge di stabilità.
Mentre si sta scrivendo, a ottobre, spunta nelle bozze l’ ipotesi di far aprire altri 22 mila punti gioco, con il progetto di raggranellare mezzo miliardo. La cosa più sconcertante è che questo succede quasi nelle stesse ore in cui il capo dello Stato Sergio Mattarella conferisce allo studioso Maurizio Fiasco l’ onorificenza di Ufficiale dell’ Ordine al Merito della Repubblica, testuale, «per la sua attività di studio e ricerca su fenomeni quali il gioco d’ azzardo e l’ usura, di grave impatto sulla dimensione individuale e sociale». Gioco d’ azzardo, precisa la nota del Quirinale, «illegale e legale».
Scoppia una rivolta, con i grillini in prima linea, e il premier Matteo Renzi annuncia: «Con il nostro governo saranno ridotti a quindicimila i punti gioco. E segnatamente i bar con le macchinette verranno ridotti, da seimila potranno essere al massimo mille. La verità è semplice: noi stiamo riducendo i punti gioco in Italia e combattendo così l’ azzardo. Chi dice il contrario mente».
L’ offensiva prende corpo in un articolo della legge di stabilità che stabilisce una riduzione del 30 per cento delle slot machine. Però con una certa calma, nell’ arco di quattro anni. Il 31 dicembre del 2019 non ce ne dovrebbero essere in attività più di 265 mila: una ogni 225 italiani. Comunque una cifra, in rapporto alla popolazione, ancora ben più elevata rispetto alla Spagna (una ogni 245 abitanti) e alla Germania (una ogni 261 tedeschi). Sul fatto poi che quel numero sia davvero tassativo, qualche dubbio c’ è per com’ è scritta la legge. Dice infatti che il taglio del 30 per cento dovrà essere applicato alle macchinette in circolazione alla data del 31 luglio 2015. Già, ma quante erano? Ed è qui che salta fuori una sorpresina. Perché alla fine dello scorso anno, giusto nei giorni in cui la legge di stabilità vedeva la luce, si scopre che nei magazzini ce ne sarebbero altre 82.500 rispetto alle 342.200 in esercizio. Per un totale di 424.700, che ridotto del 30 per cento fa poco meno di 300 mila: numero ben diverso dalle 265 mila di cui sopra.
Interessante notare che in alcuni casi le slot rilevate in magazzino sono una percentuale niente affatto trascurabile di quelle attive. Per la Codere, il 35 per cento. Per la Hbg, il 39. Per Netwin, il 63. E per Nts le slot in magazzino sono addirittura più di quelle funzionanti: il 113 per cento. Vedremo come andrà a finire. Di sicuro il gioco d’ azzardo continua a esercitare un fascino irresistibile nel Palazzo. Nel governo che si propone per legge di porre un freno al dilagare delle slot machine c’ è ancora chi vorrebbe raddoppiare il numero dei casinò, riunendoli tutti sotto una holding. Pubblica, naturalmente.
di Sergio Rizzo
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Corriere della Sera