“C’era una caccia al correntista per piazzare le obbligazioni”, in ballo premi in denaro. Lorenzo Rosi e Luciano Nataloni nel mirino della procura di Arezzo: finanziamenti sospetti. E nella bufera i padri di Renzi e Boschi.
Per collocare bond a rischio “i dipendenti ricevevano premi in soldi sul rendimento settimanale. è iniziata una caccia all’uomo spietata: correntisti (soprattutto anziani) venivano raggiunti in case di cura o ospedali, incontrati casualmente fuori da scuola e invitati ad andare in banca, o chiamati uno per uno”. È quanto racconta in un’intervista a Repubblica un direttore di banca Etruria di una filiale del centro Italia, che parla sotto garanzia dell’anonimato.
“Ho cercato di salvare quanti più correntisti ho potuto, invitavo i miei clienti a rivolgersi ad associazioni di consumatori per saperne di più. Non potevo dire loro la verità, avrei rischiato il posto di lavoro, ma che le obbligazioni subordinate fossero un prodotto che avrebbe rovinato solo e soltanto i clienti lo sapevamo tutti”. Spiega i meccanismi utilizzati per collocare i bond: “con correntisti e piccole e medie imprese operavamo così: proponevamo le obbligazioni subordinate a tutti dichiarando un rischio zero. A chi invece ci chiedeva un mutuo lo concedevamo maggiorato con l’obbligo di acquistare questi titoli”. Secondo il direttore, il questionario Mifid non veniva sottoposto al cliente: “nel 95% dei casi veniva compilato dagli impiegati di banca”.
“Si trattava soprattutto di persone con una scolarità finanziaria pari allo zero a cui noi professionisti del settore eravamo obbligati a spiegare tutto. Invece questo non avveniva. Moltissimi di loro non sapevano neanche cosa stavano firmando”. Il direttore spiega come dopo “l’ispezione e le lettere inviate dai commissari della banca ai correntisti è successo qualcosa di ancora più vergognoso”. “Nella stragrande maggioranza dei casi è successo che i dipendenti dicessero che era una pura formalità e facevano rifirmare lo stesso prodotto, però con la dicitura ‘alto rischiò, senza che il cliente sapesse nulla”. (Ansa)
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Terzo filone di inchiesta della Procura di Arezzo: vertici nella bufera
Su Banca Etruria spunta un terzo filone di inchiesta della procura di Arezzo. Per il momento, però, non sarebbe basato sulle recenti vicende dell’istituto e degli ex obbligazionisti della banca.
Si tratta di un’indagine sul conflitto di interessi che ha avuto origine dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell’istituto nel febbraio 2015. Questa parte di inchiesta si affianca agli altri due filoni. Il primo sull’ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d’Italia del 2013, e il terzo sulle false fatturazioni datato primavera 2014.
Ex vertici indagati per dissesto
L’inchiesta sul conflitto di interessi è ancora agli inizi e non ha alcun nome iscritto nel registro degli indagati. Secondo fonti vicine alla procura di Arezzo, l’inchiesta ipotizza il conflitto di interesse a carico di alcuni ex membri del cda dell’istituto bancario aretino che avrebbero ricevuto fondi per 185 milioni formalmente deliberati di cui ne sarebbero stati erogati realmente 140 a vantaggio di diciotto ex amministratori, quindici consiglieri e cinque sindaci revisori. Come spiega Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi (nella foto in alto) e l’ex membro del cda Luciano Nataloni, entrambi accusati di “omessa comunicazione di conflitto d’interessi”, avrebbero sfruttato “a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere”. L’indagine avviata dai magistrati di Arezzo fa così un salto di qualità e, puntando direttamente ai vertici, individua possibili responsabilità nel dissesto. I controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie nonostante tra dicembre 2012 e febbraio 2015 ci fossero state ben tre ispezioni. Come spiega Gianluca Paolucci sulla Stampa, già nel 2012 Banca Etruria aveva varato un aumento di capitale da 100 milioni di euro “a coprire le carenze patrimoniali causate dalla pessima qualità del portafoglio crediti”. Ma era risultato insufficiente.
Il conflitto d’interesse sui finanziamenti
Le contestazioni a Rosi e Nataloni si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando alla vicepresidenza c’era Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena. E, nel dossier degli ispettori di Bankitalia, spunta che pratiche di finanziamento per 185 milioni sono state svolte in situazioni di “conflitto d’interesse” generando 18 milioni di perdite. Nel mirino ci sono, in particolar modo, una pratica intestata a Nataloni da 5,6 milioni di euro e riguardante la società Td Group e una seconda pratica da 3,4 milioni di euro. La relazione della Banca d’Italia contesta, poi, un buco da circa tre miliardi di euro. “Proprio per cercare di ripianare le perdite – spiega la Sarzanini – sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche”. In realtà da via Nazionale avrebbero fatto sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo, si legge ancora sul Corriere della Sera, “l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali”.
L’operazione immobiliare di Banca Etruria
Il filone che ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza, che sta arrivando alla conclusione, riguarda anche l’operazione immobiliare fatta nel 2012 sugli immobili del gruppo ceduti al consorzio Palazzo della Fonte. I rischi, ovviamente, sono tutti in capo all’istituto che paga anche le spese di manutenzione e servizi. Come riporta la Stampa, Banca Etruria avrebbe indirettamente finanziato i soci versando loro 10,2 milioni: “2,5 milioni sono finiti alla Farmainvest, 3,9 milioni alla Mineco Real Estate di Matteo Minelli, produttore di birra amato da Renzi. Altri 3 milioni finiscono invece alla Findi Investimenti, altro socio del consorzio. Poi però c’è anche un prestito da 49,3 milioni che il consorzio prende in prestito da un pool di banche per finanziare l’operazione”. Insomma, sui 75 milioni di euro pagati dal consorzio per il 90% degli immobili di Etruria, 10,2 milioni arrivano dalla banca e altri 49,3 sono garantiti dallo stesso istituto.
La chiusura delle indagini
Il procuratore Roberto Rossi, che coordina tutti e tre i filoni di indagine, dovrebbe chiudere nei prossimi giorni chiedendo il rinvio a giudizio per l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e il dirigente centrale David Canestri. È stato invece già chiuso il terzo filone sulle false fatturazioni che vede indagati ancora Giuseppe Fornasari, Luca Bronchi e l’ultimo presidente prima del commissariamento Lorenzo Rosi, attualmente però sono stati notificati solo gli avvisi di chiusura ma non ci sono richieste di rinvio a giudizio.
di Andrea Indini
Questo articolo è stato originariamente pubblicato dal sito de il Giornale
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Arrivano i primi nomi eccellenti nell’inchiesta aperta dalla procura di Arezzo sul dissesto della Banca Etruria: si tratta di Lorenzo Rosi, ex presidente, e Luciano Nataloni, ex membro del cda. Secondo i quotidiani Corriere della Sera e Messaggero l’ipotesi dell’accusa nei loro confronti è “conflitto di interessi”. Avrebbero infatti percepito finanziamenti dalla banca che guidavano, alcuni poi finiti nelle sofferenze, senza avvisare il mercato. Banca Etruria, indagati gli ex vertici per “conflitto di interessi” E’ il primo risultato dell’analisi compiuta dalla polizia tributaria inviata a Banca Etruria dalla Procura che indaga. La Guardia di Finanza ha trovato almeno 185 milioni di euro di prestiti concessi in palese “conflitto di interessi”, non tutti riferiti a Rosi e Nataloni. Per questo nei prossimi giorni la lista degli indagati eccellenti potrebbe allungarsi. Nella bufera c’è anche Bankitalia, gli inquirenti si domandano come mai non sia intervenuta su questa situazione visto che tra dicembre 2012 e febbraio 2015 aveva inviato i suoi ispettori per indagare sui conti di Banca Etruria. Possibile che non siano accorti di nulla? Di sicuro c’è che Palazzo Koch aveva consigliato di non vendere le obbligazioni subordinate ai piccoli risparmiatori. Il prodotto finanziario, poi diventato carta straccia, doveva servire a Banca Etruria per coprire il buco da tre miliardi che gli stessi ispettori di Bankitalia avevano individuato. La Banca Centrale però si difende dicendo che non ha alcun potere di veto sulle decisioni delle banche e quindi bisogna anche capire quale ordine Banca Etruria ha dato ai direttori delle varie filiali. Il caso del padre di Renzi – E la polemica su Lorenzo Rosi non si ferma a Banca Etruria. Rosi, attraverso una sua società, la Nikila Invest, è diventato socio della Party srl, una società che fa capo a Tiziano Renzi, padre del premier Matteo. La denuncia è arrivata dal coordinatore dell’esecutivo nazionale e capogruppo in Toscana di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli. Notizia smentita da Tiziano Renzi, che ha annunciato querela nei confronti di Donzelli, che però sarebbe invece confermata dalle visure camerali, secondo quanto scrive il Corriere della Sera. Il padre di Maria Elena Boschi – C’è anche un altro padre nella bufera, quello del ministro Maria Elena Boschi, vice presidente di Banca Etruria dal 2013 al 2014, periodo preso sotto esame dalle ispezioni di Bankitalia concluse col commissariamento dell’istituto. Possibile che neanche lui si sia accorto degli strani movimenti di denaro che stavano dissanguando la banca? E’ la domanda che molti si pongono e per la quale ancora non c’è risposta.