Altro che ripresa: nel 2015 Confeserscenti conta una desertificazione di attività commerciali e chiusure negozi al di sopra delle attese. Anche Confedilizia chiede ufficialmente una detassazione dei locali in affitto.
Continua ad avanzare la desertificazione di attività commerciali e pubblici esercizi nei centri urbani. Secondo le stime dell’Osservatorio Confesercenti, anche nel 2015 il bilancio tra aperture e chiusure di negozi, bar e ristoranti sarà in rosso, con un saldo negativo di oltre 29mila imprese. Un crollo meno grave di quello registrato nel 2014 (-34mila), ma comunque peggiore delle attese.
Il calo delle chiusure – il primo in cinque anni – è infatti quasi annullato dalla frenata delle aperture: in totale quest’anno si stima che inizieranno l’attività circa 37mila nuove imprese, contro le oltre 42mila che hanno aperto lo scorso anno e le 45mila nel 2013. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di contrazione per il commercio in sede fissa, la ristorazione ed il servizio bar. In totale, dal 2011 ad oggi, questi tre settori hanno registrato circa 207mila aperture e 346mila chiusure, per un saldo negativo di poco meno di 140mila imprese. In media, negli ultimi 5 anni, ogni giorno hanno aperto 114 imprese e 190 hanno chiuso, per un saldo giornaliero negativo di 76 attività.
I cinque anni di desertificazione hanno interessato tutto il territorio nazionale, anche se con intensità diverse a seconda delle zone. Tra le regioni, è la Sicilia ad aver messo a segno il saldo peggiore tra aperture e chiusure di negozi e locali (-16.355 imprese). Seguono, nella classifica delle emorragie di imprese più significative, la Lombardia (-14.327) e la Campania (-13.922). Tra le città capoluogo di provincia, invece, il primato di chiusure va a Roma: l’Urbe sta soffrendo una crisi commerciale ancora più intensa di quella registrata dal resto del Paese: in cinque anni la città ha subito un saldo negativo di quasi 7.500 tra negozi, bar, caffè e servizi di ristorazione. Seguono il comune di Torino, che perde oltre 3mila imprese, e quello di Napoli (-2.327 imprese).
Complessivamente, considerando tutti i capoluoghi di provincia, l’unico comune che ha registrato un saldo positivo è Padova, dove negli ultimi cinque anni il numero di bar, negozi e ristoranti è cresciuto, anche se solo di 42 unità. “Attività commerciali e pubblici esercizi non sono ancora usciti da uno stato di difficoltà che ormai dura da cinque anni”, commenta il presidente di Confesercenti Massimo Vivoli. “La ripartenza dei consumi, che pure c’è stata, è ancora troppo recente e modesta per portare ad una rapida inversione di tendenza, anche se finalmente nel 2015 tornano a calare le chiusure di imprese. Preoccupa, pero’, la frenata di nuove aperture, bloccate dalla stretta del credito e dalla riduzione dei margini di impresa, erosi dalla crisi e da una fiscalità cresciuta quasi costantemente negli ultimi cinque anni.
Per mettere il settore in condizioni di ripartire davvero bisogna ridurre il peso che grava su negozi, locali e botteghe. Ma servono anche soluzioni nuove per un contrasto mirato alla desertificazione di attività urbane: la nostra proposta è introdurre affitti a canone concordato e cedolare secca per le imprese che aprono in uno degli oltre 600mila locali ormai sfitti per ‘mancanza’ di attività in tutta Italia. Un intervento che ci aiuterebbe a difendere la vivacità dei nostri centri storici e a favorire il ripopolamento di negozi e botteghe. Pmi che vivono dell’economia dei propri territori secondo le proprie specificità, e che costituiscono un valore aggiunto per turisti e consumatori, proprio in ragione delle rispettive diversità”.
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Confedilizia: “Detassazione dei locali in affitto”
“Confesercenti torna condivisibilmente a denunciare il disastro che l’eccesso di tassazione sugli immobili non abitativi locati sta determinando nelle attività commerciali”. E’ quanto scrive in una nota Confedilizia secondo la quale il proprietario di un negozio affittato vede eroso dalle imposte statali e locali (Irpef, addizionali comunale e regionale Irpef, Imu, Tasi, imposte di registro e di bollo) anche l’80 per cento del canone di locazione nominalmente percepito, senza contare le spese. E’ bene ricordare che tutto ciò è la conseguenza di due misure varate sotto il governo Monti, ma alle quali i successivi governi non hanno posto rimedio: da un lato l’aumento del 62 per cento delle rendite catastali ai fini Imu (e poi Tasi), dall’altro la riduzione al 5 per cento della quota di spese deducibili dal reddito da parte dei proprietari-locatori (rispetto ad un onere stimabile nel 30 per cento). Se non si interverrà urgentemente con un’azione di detassazione del settore, il commercio non potrà mai risollevarsi e la desertificazione delle nostre città non si fermerà, continuando a produrre conseguenze gravissime anche in termini di degrado e di riduzione della sicurezza dei cittadini”.
zorrax
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