La ricercatrice contro il ministro Giannini: “In Italia valgono i titoli non accademici: le raccomandazioni, le parentopoli…”

Roberta D’Alessandro nuovo simbolo dell’orgoglio italiano. Laureata all’Aquila, dottorato in Germania, al momento di rientrare in Italia, in tutti i concorsi arrivava sempre seconda. Trentamila like per uno …

Roberta D’Alessandro nuovo simbolo dell’orgoglio italiano. Laureata all’Aquila, dottorato in Germania, al momento di rientrare in Italia, in tutti i concorsi arrivava sempre seconda.

Trentamila like per uno status su Facebook sono tanti anche per un cantante o per un attore che annuncia il divorzio. Figuriamoci per una ricercatrice, abituata, racconta lei, a scrivere su Facebook per i soliti venti, trenta amici”.

 Per questo Roberta D’Alessandro è ancora sorpresa del clamore di questi giorni, suscitato per aver scritto pubblicamente al ministro Giannini quella che ridendo definisce “solo una piccola precisazione”.

 Qual era il suo obiettivo nello scrivere su Facebook al ministro?

“Era quello di sottolineare che i fondi europei vinti da quelli come me non sono ‘per la ricerca italiana’, ma ‘per la ricerca fatta da italiani’. Ed è molto diverso”.

roberta d alessandro

 Qual è la differenza?

“Che noi siamo di nazionalità italiana, ma molti di noi i fondi che l’Europa ci assegna per fare ricerca non li spendiamo in Italia”.

 Diciassette ricercatori italiani sui trenta vincitori di un finanziamento Erc (European Research Council) lavorano per un centro di ricerca straniero. Lei è una di questi. Che cosa farà con i soldi?

“Il mio progetto di ricerca è sul contatto linguistico tra le lingue degli emigrati italiani in America nel dopoguerra e le lingue romanze nel Sudamerica e Nordamerica. È un progetto che riguarda lingue come il veneto, il napoletano, il siciliano… La cosa importante però è che la competizione per vincere un finanziamento Erc è davvero spietata: ci sono soltanto 300 borse per tutte le discipline in tutta Europa. E ho vinto. Due milioni di euro”.

Nel suo famoso status lei cita altre due persone, Francesco e Arianna, nella sua situazione.

“Anche Francesco e Arianna lavorano in Olanda: sono filosofi. Il primo ha vinto un Erc come me, Arianna ha preso un altro ricco finanziamento. In tutto fanno sei milioni di euro. Notavo la coincidenza: anche la loro è ‘ricerca fatta da italiani’”.

Ma lei come mai è in Olanda?

“Perché per un ricercatore è normale viaggiare. Il problema, nel mio caso, è che non sono riuscita a rientrare. Cioè: mi sono laureata all’Aquila, poi sono andata a fare un dottorato in Germania. L’ho voluto io, sia chiaro. Poi ho cominciato a pensare di rientrare, ma intanto sono stata in Microsoft, poi a Google, poi a Cambridge, poi in Canada e alla fine in Olanda. Dove sono diventata docente ordinario a 33 anni. Nel frattempo ho fatto diversi concorsi per rientrare in Italia. E, guarda un po’, arrivavo quasi sempre seconda “.

 Cioè non li vinceva?

“Guardi: ne ho persi tanti di concorsi, ma fa anche parte del gioco. Solo che in Italia ricevevo i complimenti della commissione. Cioè in molti casi era chiaro, ed era messo a verbale, che ero più qualificata di chi aveva vinto”.

 Ma come facevano a farla perdere, allora?

“Con pretesti vari. Una volta scrissero nel verbale che l’attività svolta all’estero non era quantificabile. Diventava un demerito. Quando invece è il contrario. Quindi quando ho sentito la frase orgogliosa del ministro sui ‘ricercatori italiani’ mi è salita la rabbia. Ma come: l’attività svolta all’estero non valeva allora per farmi vincere, e vale adesso per appropriarsi dei miei meriti”?

  A quei tempi quale fu la sua reazione?

“Frustrazione e rabbia. Giurai che non sarei mai più tornata in Italia. Invece ora tornerei. Cioè: qua mi trovo bene. Ma preferirei stare in Italia, anche per stare vicina ai miei genitori. Sono anche figlia unica…”

 Lei lavora anche con ricercatori italiani? Che opinione ne ha?

“Certo che lavoro anche con gli italiani. Per il mio progetto di ricerca mica posso lavorare con un olandese e cercare di fargli capire il napoletano arcaico! Tra i ricercatori italiani ci sono quelli bravi e quelli meno bravi. Ma le classifiche per nazionalità mi fanno ridere. E non cercate di attribuirmi l’idea per cui chi resta in Italia è meno bravo di chi se ne va”.

 Suo marito è olandese: la seguirebbe in Italia?

“Eccome. Lui adora l’Italia e parla l’italiano meglio di quanto io non parli l’olandese. E poi anche lui è linguista e collabora con diversi gruppi di italiani. Questo per dire che in Italia ci sono molte eccellenze. Per me però la questione è che mi sono sentita “cornuta e mazziata”, come diciamo in Abruzzo: sono stata costretta a stare fuori dall’Italia, e poi vengo contata come ‘italiana’”?

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Repubblica

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1 commento

  1.   

    la signorina ha perfettamente ragione. però uno bravo e conscio della propria  bravura  la carriera la fara  sempre. magari con più fatica  ma sapeste come è bello non dover dire grazie a nessuno. mi ricordo una mia promozione al grado superiore  .il direttore mi ricevette ed iniziò con queste frasi..  nostro  malgrado…Uno dei più bei  giorni della mia vita . dopo quello in cui conobbi la mia coccodrilla…