Il linguaggio semplice semplice dei liberisti contro quello della ragione. Nel confronto tv sul referendum costituzionale tra Renzi e Zagrebelsky pensate che abbia vinto il primo? Ritenete che Trump abbia successo per il suo linguaggio da terza elementare? Non siete pragmatici ma liberisti, eppure l’incompetenza e la superficialità non risolveranno i problemi del pianeta o dei popoli. A differenza che in passato, se falliamo ci estinguiamo.
Se pensate, magari con angoscia, che Matteo Renzi abbia vinto il confronto televisivo con Gustavo Zagrebelsky sul referendum perché le cazzate dette con arroganza sono più efficaci della competenza e la complessità è noiosa, o se ritenete che il Renzi americano, Trump, abbia qualche possibilità di successo perché il linguaggio che usa è al livello della seconda elementare (hanno spiegato i linguisti) e dunque raggiunge chiunque, non siete pragmatici: siete dei liberisti.
Forse non ideologicamente ma culturalmente: nel senso che avete ormai abbandonato ogni fiducia nella forza della ragione, del sapere e persino della dignità e vi siete persuasi che l’unica cosa che conti sia il mercato, ossia le reazioni delle fasce più distratte e superficiali della popolazione, peraltro indotte a un analfabetismo di ritorno dai media e dai sondaggisti.
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È dal 1960 che incessantemente stanno promuovendo questa idea della politica e della società come spettacolo: da quando Kennedy, secondo loro, si impose nel dibattito televisivo contro Nixon non perché avesse idee migliori o proposte più convincenti bensì perché Nixon sudava.
Così vince il liberismo: con la deregulation. È la sua unica arma e oltre che sull’economia agisce sulla morale e sulla cultura, sui codici e le aspettative, programmaticamente abbassate al livello minimo, quello dell’assoluta attualità, spacciata come realtà.
Perché in assenza di norme e di valori, cioè di storia e di progetti, si torna alle reazioni immediate, istintive, simili a quelle della mosca che torna incessantemente a sbattere sullo stesso vetro perché incapace di pensare alternative; e dunque si sviluppano i desideri e i bisogni prescritti dalla pubblicità, ci si emoziona non per quello che ci accade ma per le breaking news diffuse dai media e si vota per i candidati da loro indicati come i più telegenici.
Il trucco è ripetere ossessivamente che la gente non aspira a crescere e migliorarsi bensì, al contrario, desidera chiudersi nelle sue abitudini (indotte) e nella sua condizione di ignoranza e passività, terrorizzata o, peggio, irritata dalla sola prospettiva di avventurarsi al di fuori della sua “zona di agio”. Così stanno trasformandoci in mosche: un testo più lungo di 140 caratteri è faticoso e comunque è meglio un’immagine; e pure le immagini devono essere leggere e veloci, un video di più di sei secondi rischia di far cadere l’attenzione – è la ragione del successo di Vine.
È un gioco molto pericoloso. L’incompetenza e la superficialità non risolveranno i problemi del pianeta o dei popoli e neppure quelli degli individui; e oggi, a differenza che in passato, se falliamo ci estinguiamo. Credere che per fermare il degrado sociale e ambientale, o anche solo quello economico, bastino le battute di chi sa bucare lo schermo è peggio che una manipolazione; è una tragica illusione.
Il liberismo è riuscito a ottundere le coscienze e a convincere tanti che sia solo questione di apparenze; ma i fatti restano immensamente più forti delle chiacchiere e la realtà è infinitamente più reale della virtualità mediatica. Al di sotto della superficie si stanno accumulando enormi tensioni e il carico di rottura è stato quasi raggiunto.
Ormai solo un dio ci può salvare, disse un filosofo tedesco mezzo secolo fa, nel suo testamento spirituale. Non è vero: nessun dio ci salverà ma possiamo e dobbiamo salvarci da soli. Però c’è troppo poco tempo e siamo diventati troppo potenti e troppo sapienti per poterci permettere la stupidità.
di Francesco Erspamer
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Voce di New York, che ringraziamo
carla
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