Una legge per gli Snowden italiani: “Chi segnala illeciti e corruzione non resterà solo”

Il funzionario Alessandro è stato spostato a far niente in un ufficio-deposito del Comune. All’ingegnere Vito è stata riconosciuta la malattia professionale per mobbing. Anche Andrea non ce …

Il funzionario Alessandro è stato spostato a far niente in un ufficio-deposito del Comune. All’ingegnere Vito è stata riconosciuta la malattia professionale per mobbing. Anche Andrea non ce l’ha fatta e, dopo mesi di pressioni e demansionamenti, ha lasciato l’azienda. Messi all’angolo o costretti ad andarsene. La loro colpa? Aver denunciato illeciti e corruttele nei luoghi di lavoro. In inglese si chiamano whistleblower, letteralmente «soffiatori di fischietto». Da noi non c’è una parola per definirli. Presto, però, potrebbe esserci una legge per proteggere questi Snowden italiani. Persone che, come l’ex tecnico della Cia, non sono rimaste in silenzio.

Il vuoto normativo

Dopo mesi di stallo e rinvii sono arrivati in commissione al Senato due ddl. «Attualmente c’è un solo articolo per la tutela dei dipendenti che decidono di segnalare delle irregolarità», spiega Giorgio Fraschini, dagli uffici di Transparency International Italia. La legge Severino, nel 2012, ha introdotto una norma nel Testo unico sul pubblico impiego. «Ma appunto – spiega il legale Fraschini – vale solo per i dipendenti pubblici. E inoltre ha altre criticità: non sono previste sanzioni per chi sgarra e non protegge l’identità di chi segnala le irregolarità, con il rischio che poi subisca ritorsioni sul luogo di lavoro». Manca, insomma, una disciplina completa. «Ci siamo mossi più lentamente degli altri Paesi europei», ammette Fraschini che in passato ha lavorato al Public Concern at Work, l’ente di riferimento per il whistleblowing nel Regno Unito. «Ma anche da noi le cose stanno cambiando: ormai ci si è resi conto che la corruzione, nel pubblico e nel privato, ha un costo insostenibile».

I costi sociali

Ventitré miliardi, tanto sono costati gli sprechi nella sanità nel 2014 secondo il libro bianco Ispe. Per Transparency Italia circa sei miliardi sono da considerarsi corruzione. E non un caso che proprio nel settore sanitario il servizio di allerta anticorruzione (Alac) dell’associazione abbia ricevuto il numero più alto di segnalazioni. Appalti pilotati, nomine non qualificate, benefit ingiustificati e mazzette per tagliare le liste d’attesa. L’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), nel suo rapporto sul whistleblowing in Italia ha preso in esame 299 segnalazioni da settembre 2014 a maggio 2016. La maggior parte arrivano dal settore pubblico (circa il 65%): si va dalla truffa nella richiesta dei buoni pasti e nella timbratura dei cartellini fino alle parcelle gonfiate per spese da liquidare.

Il professore Lucio Picci, ordinario al dipartimento di scienze economiche dell’Università di Bologna, ha scritto che il reddito medio degli italiani sarebbe più alto di circa 10 mila euro se ci fosse lo stesso livello di corruzione che c’è in Germania. «C’è come una silenziosa accettazione che la corruzione in Italia sia inevitabile», racconta sconsolato Andrea Franzoso, 39 anni. Lui è il whistleblower per antonomasia: il funzionario di Ferrovie Nord che ha denunciato le spese pazze (600 mila euro) del vecchio presidente Norberto Achille. «Non mi sento una spia: penso di aver fatto il mio dovere, solo che poi l’ho pagato sulla mia pelle», dice. Da qualche giorno, dopo mesi di battaglia legale e ritorsioni in ufficio, ha accettato la risoluzione del contratto. Ma non intende smettere di denunciare quanto successo.

I punti critici

«Anche la legge in discussione lascia una tutela vaga per i casi come quello di Andrea», spiega Priscilla Robledo, portavoce della campagna Voci di giustizia. L’articolo 2 del ddl, infatti, prevede l’estensione della normativa al settore privato. «Ma è formulato facendo riferimento a un particolare modello organizzativo delle aziende, il 231, che pochissime hanno adottato». In pratica la tutela dei dipendenti rischia di riguardare solo il 5% delle società private. E c’è un altro problema: «Non c’è la possibilità della segnalazione anonima che garantirebbe maggiore tranquillità ai whistleblower. Potrebbero rimanere in azienda senza ritorsioni». Tutelati, senza dover essere messi di parte o costretti ad andarsene. Solo per aver fatto il loro dovere.

Fonte: La Stampa

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