Bruxelles torna all’attacco: “Spero nell’attivazione dell’articolo 50 quanto prima”. Lo ha detto il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker al termine del Consiglio europeo. Lo stesso Juncker ha precisato che prima Londra dovrà uscire da Ue e poi si potrà vedere se e come negoziare l’accesso al mercato unico.
Dal canto suo David Cameron, dopo aver specificato che la Gran Bretagna “non tornerà indietro”, ha chiesto ancora “un po’ di tempo” per attivare la procedura, un compito che comunque “spetterà al prossimo governo”. I lavori del vertice Ue hanno chiuso una giornata nel corso della quale il pressing dell’Ue su Londra è stato espresso a chiare lettere dai leader e dalle istituzioni europee. L’Europarlamento spinge a grande maggioranza la Gran Bretagna a procedere “senza ulteriori indugi” ad aprire la pratica di divorzio con l’Ue nel rispetto “della volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini” britannici.
Angela Merkel e Matteo Renzi avvisano Londra che non può pensare di avere pieno accesso al mercato unico da una parte e chiudere le frontiere ai migranti dall’altra. Jean Claude Juncker riconosce che con il Regno Unito bisognerà costruire “un nuovo rapporto” ma avverte gli ‘amici’ inglesi che “saremo noi a dettare l’agenda e non chi vuole uscire”. E questo “senza nascondersi dietro giochi a porte chiuse”. Insomma, un’Unione dura nei toni e nella sostanza – ma anche concentrata sulla necessità di mettere a punto una strategia per voltare pagina, rispondere alle insoddisfazioni dei cittadini e battere il populismo montante – quella che ha accolto a Bruxelles per il primo summit post-voto David Cameron, l’artefice di una strategia concentrata su obiettivi di politica interna che ha inferto la mazzata più pesante mai ricevuta dal progetto di integrazione europea. Un vertice storico, l’ha definito il presidente francese Francois Hollande, perché per la prima volta “un Paese ha deciso di lasciare l’Ue”.
Una sortita che, per il presidente della Bce Mari Draghi, potrà avere un impatto negativo sul Pil anche dello 0,5% del Pil L’unica ‘apertura’ nei confronti di Londra arriva in considerazione del caos totale che sta dominando la scena politica britannica dopo il ‘capolavoro’ di Cameron. “Diamogli dei margini, la Gran Bretagna – osserva il presidente di turno dell’Unione, il premier olandese Mark Rutte al suo arrivo al Consiglio – è già collassata politicamente, economicamente, costituzionalmente. Sarebbe irragionevole insistere” per attivare subito la procedura prevista dall’articolo 50 per arrivare al divorzio. Ma nel frattempo, è l’opinione comune dei leader e dei responsabili delle istituzioni europee, nessun negoziato ‘segreto’ o dietro le quinte per un’intesa ‘a la carte’. “Ho vietato ai miei direttori generali qualsiasi iniziativa di questo tipo”, dice a gran voce Juncker parlando all’assemblea dell’Europarlamento. “Nessun colloquio potrà partire prima della presentazione della richiesta formale di uscita”, rincara la dose Merkel pur riconoscendo che la Gran Bretagna “deve rimanere un Paese amico e partner”.
Per la cancelliera però non è ipotizzabile che “chi vuole lasciare la famiglia pensi di non avere più obblighi ma mantenere i privilegi”. Una posizione pienamente condivisa da Renzi, secondo il quale “in una famiglia bisogna accettare le cose buone e quelle cattive. Non si può prendere il mercato unico e non l’immigrazione”. Parole che servono anche a mettere in guardia quei partner che, dietro un’apparente sintonia con la posizione dei ‘big’, nascondono atteggiamenti più accomodanti nei confronti di Londra, alleata su cui, fino a venerdì 24 giugno, hanno sempre potuto contare Paesi come ad esempio il Portogallo o la Polonia nel condurre le loro battaglie all’interno dell’Ue. Per il momento, però, le parole d’ordine sono unità e riforme. Ovvero la messa a punto di una svolta ‘multipla’ sulla sicurezza comune e il rilancio dell’economia, in particolare per quanto riguarda gli investimenti e la flessibilità, due elementi chiave – a giudizio dell’Italia e non solo – per rispondere ai bisogni dei giovani e dei disoccupati. Temi sui quali in 27 dovranno avviare una riflessione approfondita e tirare le conclusioni in occasione di un vertice informale che il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha detto di voler convocare per settembre, probabilmente a Bratislava.
Dove si dovrà anche tornare a parlare di come gestire la crisi dei migranti, uno degli elementi scatenanti della Brexit che l’esito del referendum ha fatto passare in secondo piano al vertice. Da dove è venuto pieno sostegno alla strategia delineata dalla Commissione europea evitando però di indicare quanti e quali soldi dovranno essere spesi per tradurre in realtà le buone intenzioni. E questo mentre migliaia di persone continuano a sbarcare sulle coste italiane.