Discorso forte della premier inglese: «servono riforme che permettano al mondo di creare ricchezza per tutti, piuttosto che solo per pochi privilegiati».
L’aveva definito un luogo per «cittadini del nulla», ma al dunque Theresa May è dovuta venirci per tentare di spiegare alle élite mondiali che ne sarà della sua Gran Bretagna. Per una premier costretta dalla storia a decidere l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea la visita a Davos è il passaggio obbligato con la comunità finanziaria mondiale. Non l’hanno accolta benissimo: i numeri uno di Ubs e Hsbc oggi hanno fatto sapere che in caso di hard Brexit sposteranno mille persone a testa da Londra (Hsbc andrà a Parigi), mentre l’Handesblatt scrive che Goldman ha un piano per dimezzare gli uffici inglesi.
Per non trasformare la “hard Brexit” in una “disaster Brexit” la May ha bisogno di un accordo onorevole con Bruxelles. La minaccia peggiore è la perdita del passaporto comunitario: di questo ha già discusso qui ieri sera con alcuni top manager della finanza. Sia come sia, per la nuova Lady di ferro è ancora il momento della propaganda e delle rassicurazioni. «La Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea sarà leader mondiale» nel commercio. «Avremo un ruolo di leadership come il sostenitore più forte ed energico del libero mercato ovunque nel mondo». Dopo l’uscita dall’Europa avremo «una Gran Bretagna coraggiosa, fiduciosa ed aperta». Sarà.
La May promette una Gran Bretagna «oltre l’Unione europea», ma non spiega come sia possibile allo stesso tempo chiudere le frontiere doganali ed essere paladini del libero commercio. «Il mondo sta sperimentando un livello senza precedenti di ricchezza» ma anche di diseguaglianze. «Se la causa è la globalizzazione, allora le élite globali devono affrontare il problema».
La tesi della May si può riassumere così: l’uscita dall’Unione sarebbe l’unico modo per restituire agli inglesi più sfortunati più lavoro e dignità. Ma non si mostra onesta quanto Trump nel gridare “Britons first”. Lo fa capire, rimanendo ambiguamente aggrappata all’immagine di una Gran Bretagna globale ma non troppo. «Parlare di una globalizzazione più grande spaventa le persone. Per molti significa che i loro posti di lavoro sono appaltati ad altri e i salari ridotti. Significa restare seduti indietro mentre guardano le comunità cambiano intorno a loro. Significa guardare quelli che prosperano giocare con regole diverse, mentre per molti la vita resta una battaglia da combattere». Per questo «servono riforme che permettano al mondo di creare ricchezza per tutti, piuttosto che solo per pochi privilegiati». Fra il dire e il fare intanto ci sarà la frontiera di Dover.
Fonte: La Stampa