Proseguirà anche nella prossima riunione del Consiglio di amministrazione l’analisi del piano da parte dei consiglieri di Banca Monte dei Paschi. Una riunione probabilmente ancora interlocutoria, secondo quanto si apprende, con il titolo che ha ceduto l’1,59% a 0,23 centesimi, in attesa di capire i tempi definitivi per l’aumento di capitale fino a 5 miliardi.
E con Andrea Bonomi che, secondo fonti finanziarie, non sarebbe apparso entusiasta di partecipare alla ricapitalizzazione, ma anche di come Rocca Salimbeni potrà muoversi per liberarsi di una parte di Npl (Non performing loans). E proprio sull’aumento di capitale è intervenuto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, secondo il quale “ci sarà l’aumento del capitale”, perché “ci sono le condizioni affinché lo si faccia presto e con successo”.
Secondo il premier, che è finito al centro di diversi retroscena secondo cui il famigerato “Piano B”, ovvero trovare i soldi necessari al salvataggio della banca senese attraverso il meccanismo del fondo Ue salva-Stati Esm, poi smentiti da Palazzo Chigi ma senza particolare enfasi o forza, ma confermati in ambienti finanziari, è possibile che la ricapitalizzazione avvenga addirittura “entro l’anno”. Parlando quindi del passato, Renzi ha puntato il dito contro la sinistra, “ma non certo il Pd”: il Monte, ha detto, “è stato ridotto così da una politica impicciona, che era la sinistra di questo Paese”.
Intanto sui crediti in sofferenza, vero nodo cruciale di una vicenda dai toni foschissimi, l’attenzione è forte ormai da tempo e l’istituto senese, ancor prima che dalla Bce arrivasse l’invito a far scendere le sofferenze lorde a massimi 32,4 miliardi al 2018 dai 46,9 miliardi del 2015, e le sofferenze nette a 14,6 miliardi da 24,2 miliardi, aveva avviato un programma di cessioni (circa 2 miliardi i crediti in sofferenza ceduti nel 2015 e 1 miliardo era previsto per quest’anno). Il problema è casomai come nel tempo si sono realizzate le sofferenze nette. Una parte di risposta, in questo senso, era stata data dalla banca a un azionista che, prima dell’ultima assemblea, chiedeva di conoscere quante pratiche, e di che livello, formavano complessivamente il gettito delle sofferenze nette (9,7 miliardi al 31 dicembre 2015)
L’11,2% delle pratiche (pari a 1.142.212.000 euro), scrive il Monte, avevano un importo da 0 a 150.000 euro, l’8,4% (809.708.000 euro) tra 150.000 e 250.000. Quando gli importi dei crediti concessi dalla banca salgono tra 250.000 e 500.000, salgono le percentuali: 10,7% (per 1.041.436.000 euro) e 12,9% per importi compresi tra 500 mila e un milione (1.257.528). Numeri che crescono ancora per gli importi compresi tra 1 e 3 milioni, 24,3% (per 2.332.577.000) e 32,4% delle sofferenze totali per importi superiori ai 3 milioni (3.120.668.000).
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Da questi numeri emerge, spiega una fonte, che i crediti concessi da Mps (quelli di minor importo, ossia fino a 500.000 euro) sono circa 112.000 posizioni e rappresentano la somma totale di 2,9 miliardi di euro, pari al 30,3% circa del volume delle sofferenze complessive. Quindi il 69,7% dei crediti passati in sofferenza era stato concesso a “pochi” grandi “imprenditori”, circa 9.300 posizioni.
“Difficile che la banca abbia concesso 3 milioni a un piccolo artigiano”, ribadisce la fonte. I 24 miliardi di crediti deteriorati netti al 31 dicembre 2015 rappresentavano il 20% dei crediti deteriorati netti dell’intero sistema bancario. Cifre che prima dell’acquisizione di Antonveneta e della successiva crisi del gruppo, erano ben diverse: i crediti deteriorati netti di Gruppo erano 3.928 al 31 dicembre 2007, 7.393 al 31 dicembre 2008 (dopo l’incorporazione di banca Antonveneta), 10.221 nel 2009, 11.381 nel 2010, 13.480 nel 2011, 17.397 2012, 20.992 nel 2013 e 23.143 nel 2014.
Goldman vede “nero” in caso di vittoria dei “no” al referendum
La politica, però, continua ad essere una costante della vita del Monte dei Paschi di Siena. E in caso di vittoria del “no” al referendum costituzionale, sarebbe addirittura a rischio la riuscita dell’aumento di capitale da 5 miliardi di Mps, mentre dovrebbe avere effetti più contenuti sullo spread dei titoli di Stato italiani. O almeno è quanto sostiene la banca Usa Goldman Sachs in un report dedicato alla consultazione elettorale.
Il successo del no – a cui Goldman assegna il 40% di chance di vittoria – aumenterebbe infatti le probabilità di un intervento del governo a sostegno di Mps. Soffrirebbero meno i bond statali, protetti dal quantitative easing della Bce. In ogni caso la banca Usa si aspetta che i rendimenti dei titoli di Stato restino più alti di quelli spagnoli fino a quando non ci saranno sondaggi che suggeriscano un’avanzata del fronte del “sì”, mentre non sarebbe sorprendente vedere i differenziali di rendimento sui Bonos aumentare di 40 punti base, livelli che non si vedevano dall’avvio del quantitative easing, qualora vincesse il no.
Goldman Sachs, che stima un 65% di probabilità di dimissioni del premier Matteo Renzi in caso di sconfitta al referendum, ipotizza anche qualche rischio di contagio sugli spread di tutti i Paesi periferici.
belfagor
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