Con la Finanziaria lo Stato ha ridato il doppio di ciò che aveva tolto, ora con il “Milleproroghe” viola le norme Ue sui contratti precari rinnovati oltre i 36 mesi e non c’è la legge elettorale per le Città metropolitane.
La generazione Leopolda al governo aveva promesso che tagliando le Province l’Italia sarebbe entrata nella Terza Repubblica. A due anni di distanza dall’entrata in vigore della Legge Delrio, al massimo siamo tornati alla Prima, con tutti i suoi sprechi.
L’ideatore di questa norma “epocale”, l’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in arte “Ietro”, suggeritore e braccio destro di Mosè-Renzi (sono i nomignoli che i due usano in privato), nel 2013 dichiarò che così lo Stato avrebbe risparmiato circa 1 miliardo, mentre l’Istituto Bruno Leoni addirittura lo bacchettò perché si era tenuto fin troppo stretto nelle previsioni. Invece nella legge di Stabilità 2016 quegli enti tanto “inutili” non solo si sono ripresi 725 milioni di euro con pochi emendamenti e 20 commi, ma sono riusciti addirittura a farsi firmare dal governo una assicurazione sulla vita in bianco, nell’eventualità che qualche altro governo si facesse venire in mente strane idee di agli.
Le acque, in poche parole, le hanno aperte le vecchie Province e le nuove Città metropolitane, che sul loro cammino hanno trovato una terra promessa fatta di un bel po’ di quattrini pubblici, mentre la new generation della politica targata Pd ha lasciato che ad affogare nel Mar Rosso fossero soltanto i buoni propositi, alla stregua degli uomini dell’esercito del faraone d’Egitto più di duemila anni fa.
Il brusco cambio di rotta dell’Esecutivo, stando almeno alla tempistica, è direttamente proporzionale alla lettera-appello che il presidente dell’Unione delle Province d’Italia, Achille Variati, sindaco democrat di Vicenza, aveva inviato agli inizi di dicembre a senatori e deputati pochi giorni prima che iniziasse la delicata discussione in Parlamento sulla Finanziaria 2016. Il testo era inequivocabile: «Se la legge di Stabilità che vi apprestate a varare non sarà modificata, non avremo risorse adeguate per continuare a garantire la copertura delle funzioni fondamentali», specificando che «se non sarà raccolto questo nostro appello, se nella manovra finanziaria non si troveranno risposte, sappiate che questi servizi, nei vostri territori, si ridurranno drasticamente o addirittura si interromperanno e i cittadini che voi rappresentate, che non vivono nelle grandi aree urbane, si sentiranno abbandonati dalle istituzioni». Un’offerta che i politici di Roma non hanno potuto rifiutare…
All’appello delle Province mancavano troppe risorse per coprire tutte le spese. La richiesta esplicita parlava di un “incremento da 150 a 250 milioni del contributo per strade e scuole”, della “costituzione di un Fondo nazionale per il mantenimento degli equilibri finanziari delle Province per 50 milioni”, di un altro “fondo per la copertura integrale delle spese da sostenere per l’assistenza alla disabilità con un contributo pari a 113 milioni”, della “eliminazione delle sanzioni per lo sforamento del patto 2015”, di una “moratoria totale dei mutui accesi dalle Province con Cassa depositi e prestiti per l’anno 2016” e della “trasformazione in hub “delle nuove aree vaste rendendole capaci di svolgere per i Comuni la funzione di Stazione unica appaltante – che si ridurrebbero dalle attuali circa 7mila alle sole 107 nelle aree vaste – e la gestione associata delle funzioni comunali”.
È andata addirittura meglio delle attese. Perché per la viabilità e l’edilizia scolastica sono arrivati 495 milioni (metà del risparmio presunto andato in fumo) anziché i 250 richiesti, che si sommano ad altri 100 milioni che l’Upi ha strappato per la manutenzione delle strade provinciali attraverso Anas, più 70 milioni per le Regioni, ma destinati a coprire le spese sostenute da Province e città metropolitane per l’assistenza a chi ha disabilità sensoriali, e altri 60 milioni da versare in un nuovo fondo per la transizione (quest’anno dovrebbe concludersi l’iter della legge Delrio), di cui 40 dedicati agli enti in dissesto e 20 per il pagamento degli stipendi dei dipendenti in soprannumero, ovvero il personale che dal 2013 al 2016 sarebbe dovuto essere trasferito ad altre amministrazioni locali ma che si trova ancora al proprio posto.
Nel testo della legge di Stabilità che istruisce questo nuovo fondo, inoltre, è contenuta anche una notizia passata sotto silenzio, che potrebbe rivelarsi però un clamoroso autogol tecnico-politico del governo. Perché la ripartizione dei 60 milioni dovrà avvenire entro il 28 febbraio, con un decreto del ministro dell’Interno, da predisporre di concerto con il ministro dell’Economia e quello delegato agli Affari regionali e le autonomie, casella rimasta ormai vuota dal lontano gennaio 2015 e che Renzi non ha mai riempito finora. Dunque, o il rimpasto avviene entro i primi 40 giorni dell’anno o quei soldi rimarranno nel limbo della pelosa burocrazia italiana.
Il “ravvedimento” di Palazzo Chigi su Province e Città metropolitane, ad ogni modo, non è un’eccezione esclusivamente riservata all’anno in corso, ma ce n’è anche per i prossimi. Per l’esattezza, 470 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 400 milioni di euro annui a decorrere dal 2021, di cui 245 milioni di euro per l’anno 2016, 220 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2021 a favore delle province e 250 milioni di euro a favore delle città metropolitane, finalizzato al finanziamento delle spese connesse alle funzioni relative alla viabilità e all’edilizia scolastica.
Se poi le Regioni, in fase di conferimento delle deleghe e dei poteri ai nuovi enti dovessero trasferire anche funzioni di polizia amministrativa locale e il relativo personale, lo stanziamento spiccherebbe il volo, visto che secondo il testo la “copertura dei relativi oneri, la dotazione organica degli enti di area vasta, ridotta ai sensi dell’articolo 1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n.190, è rideterminata in aumento in misura corrispondente al personale ricollocato”.
Una posta di bilancio monstre da oltre 2 miliardi di euro, dunque, che è esattamente il doppio di quanto Renzi e il suo Ietro avevano promesso che avrebbero tagliato.
Ma i soldi non sono tutto nella vita. Ed ecco comparire gli emendamenti 756 e 758, che consentono agli enti “inutili” di predisporre il bilancio di previsione solo per il 2016 (in barba alle norme di contabilità vigenti che prevedono un bilancio triennale) e applicarvi “l’avanzo libero e quello destinato (che costituiscono quote dell’avanzo di amministrazione annuale)”.
Ma guai a pensar male. «Noi sindaci ci sentiamo impegnati ad assicurare quei servizi fondamentali che la legge ci assegna: scuole sicure e agevoli per costruire l’Italia di domani, strade che garantiscano la mobilità delle persone e delle merci, cura di un territorio sempre più fragile», avevano infatti scritto nella famosa lettera-appello, ribadendo che le risorse in più non sarebbero servite «per far sopravvivere un ente, ma esclusivamente per l’erogazione di servizi essenziali».
Peccato, però, che la complessa macchina provinciale abbia costi talmente alti da far credere il contrario. Lo spiega la stessa Upi nel Report di ottobre 2015 intitolato “La finanza di Province e Città metropolitane”, nel quale spiega che solo per il personale la spesa dovrebbe essere di 2,1 miliardi, mentre per mantenere in piedi i Centri per l’impiego occorrono 586 milioni di euro. Ma la lista delle spese è ben più consistente: si va da 1,730 miliardi per l’edilizia scolastica agli 1,275 miliardi per i trasporti e la mobilità, e poi gli 1,515 miliardi per la viabilità e la gestione territorio ai 655 milioni per la tutela ambientale, dai 188 milioni per lo sviluppo economico ai 192 milioni per i servizi sociali, e ancora dai 125 milioni per la cultura e i beni culturali ai 103 milioni per il turismo e lo sport. In totale si tratta di una partita da quasi 8 miliardi di euro (7.953.000.000 per la precisione), che finisce come al solito dritta dritta sulle spalle dei cittadini contribuenti.
E questo è niente. Una seconda, pesante richiesta a doppia firma dal segretario Upi, Variati, e dal presidente dell’Anci, Piero Fassino (i due organismi avrebbero già dovuto fondersi come indicava la legge 56), avanzata a quattro mani con una missiva indirizzata al ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, e ai sottosegretari Bressa (mentore della Delrio), Baretta, Bocci e Rughetti, ha chiesto e ottenuto nel prossimo decreto “Milleproroghe” la proroga fino al 31 dicembre 2016 dei contratti a tempo determinato presenti nelle Province e nelle Città metropolitane, per “assicurare la continuità di servizi essenziali nel 2016, anno in cui si dovrà portare a compimento il percorso di attuazione della legge 56/14”.
E tutto ciò in barba alle norme europee che vietano tassativamente di andare oltre i 36 mesi per contratti precari.
La legge Delrio non ha falle solo dal punto di vista economico, però. Anche la politica, infatti, latita. Per ora hanno perso la propria poltrona 100 presidenti di Provincia (scelti alle urne direttamente dai cittadini), oltre 750 assessori e 3mila consiglieri, e ancora non esiste una legge elettorale che regoli l’elezione dei nuovi Consigli. Eppure a giugno, in città di importanza fondamentale come Roma, Milano, Napoli o Bologna, gli elettori avrebbero dovuto votare anche per le Città metropolitane, che resteranno invece enti di secondo livello. “È una questione delicata, serve più tempo: ci sono aspetti che non possono essere risolti con un provvedimento da approvare in tempi così rapidi”, aveva detto il 10 novembre il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, in un’intervista al Fattoquotidiano.it. Ad oggi nessuna proposta o decreto è stato presentato alle Camere. E anche lo Statuto speciale per Roma Capitale, per il quale Bressa disse che “l’ipotesi deve essere seriamente presa in considerazione”, è rimasta lettera morta.
Chissà se i gufi di cui tanto parla Renzi si staranno sfregando le piume, pensando a quanto materiale ha fornito loro il governo con il pasticciaccio delle scandalose Province e Città metropolitane, che costano allo Stato quanto e più prima e non hanno nemmeno uno straccio di legge elettorale.
Red.it
peter pan
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Mi sa che aveva ragione il beneamato Duce circa il governare l’Italia….
Ciao ancora
robyuankenobi
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