Netflix cancella Fauda. Stop a serie tv israeliane

Da Apple tv a Netflix, i giganti dello streaming stanno bloccando la messa in onda di molti prodotti di Israele che negli ultimi anni erano modello per l’industria globale dell’intrattenimento. Uno degli effetti della guerra contro Gaza.

Prima vennero a boicottare McDonald’s, Starbucks, Carrefour, Coca Cola e a chiedere alle casse dei supermercati da dove provenissero i datteri per far fallire lo stato di Israele. Poi vennero a boicottare la partecipazione di Israele a Eurovision scrivendo caroselli su Instagram, poi venne la Federazione internazionale di hockey su ghiaccio a boicottare la nazionale israeliana per garantire la «sicurezza» di tutti i partecipanti, e infine vennero a boicottare le serie tv israeliane.

Il giornale israeliano Haaretz riporta le preoccupazioni dell’industria televisiva israeliana, ma è pur vero che la televisione vive di senso dell’opportunità; quindi, non è del tutto incomprensibile che ci sia stato uno stop a riprese o messa in onda di serie tv israeliane, e forse nemmeno parlerei di boicottaggio.

Per la questione dei datteri invece sì. Israele negli ultimi anni ha prodotto serie di grande successo che sono state poi riadattate dagli americani come Homeland da Hatufim In treatment da BeTipul, di cui c’è anche l’adattamento italiano con protagonista Sergio Castellitto con la regia di Saverio Costanzo.

Di grande successo è stata, ed è, anche la serie Fauda. Matan Meir, assistente di produzione della serie, è morto a Gaza, mentre Idan Amedi, uno degli attori, è rimasto gravemente ferito nei combattimenti. Netflix ha stoppato la messa in onda di Border Patrol, mentre la commedia Through Fire and Water avrebbe dovuto fare il suo debutto nella prima parte di novembre, ma è stata rinviata. Danna Stern, produttrice della serie, ha dichiarato ad Haaretz: «I trailer dovevano andare in onda il 10 ottobre.

Due giorni prima hanno detto che dovevano verificare se era il caso di rimandare la messa in onda, perché si trattava di una commedia e noi eravamo nel bel mezzo di una tragedia e di una guerra».

Della serie Teheran, di cui Apple TV ha comprato i diritti per venti milioni di dollari, era in lavorazione la terza stagione e in fase di scrittura la quarta: la produttrice Shula Spiegel racconta sempre ad Haaretz che «quando è scoppiata la guerra, Apple ci ha chiesto di interrompere la stesura della sceneggiatura, perché la nuova realtà stava causando incertezza sui contenuti. Un mese dopo ci hanno detto che potevamo continuare a scrivere».

Ad oggi, però, nessuno sa niente. Chi sarebbe oggi disposto a comprare e investire in un prodotto israeliano? Nessuno. Ma gli israeliani e il loro governo non erano due cose diverse? La risposta è sempre e comunque: nessuno.

Netflix e Apple hanno deciso di interrompere riprese, scrittura e messa in onda di serie tv israeliane per sentimento popolare, tutela del prodotto o antisemitismo? Mi sento di escludere l’antisemitismo, così come escluderei anche l’antisionismo, ma aspetto un comunicato ufficiale che non si sa mai.

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Le aziende rimangono aziende anche se producono contenuti artistici e sono decisamente più attente alle reazioni delle persone sui social che non a far valere un principio, e questa storia ne è la dimostrazione.

Si può continuare a produrre arte se il sistema si basa sull’opinione pubblica? No. È capitalismo, è mercato, è opportunismo, e spero che nessuno scambi queste decisioni per esibizione di presunta virtù, anche se sono convinta che quelli seduti dalla parte del boicottaggio dei datteri lo faranno. I tempi sono maturi per riproporre BeTipul, ma questa volta con uno psicanalista vero, sempre che il pubblico sia d’accordo. (ASSIA NEUMANN DAYAN)

Fonte: La Stampa

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