Pansa: “Io sono un vero qualunquista, quelli di oggi tipo Grillo, Salvini e Le Pen mi fanno ridere”

«In Italia nazismo e fascismo non sono stati sconfitti dalla Resistenza. È una verità che non piace a molti, ma è la verità. Sono stati sconfitti dagli Alleati, …

«In Italia nazismo e fascismo non sono stati sconfitti dalla Resistenza. È una verità che non piace a molti, ma è la verità. Sono stati sconfitti dagli Alleati, in particolare dagli angloamericani e non solo. Da migliaia di ragazzi americani, inglesi, canadesi, brasiliani, persino indiani e della Brigata ebraica che sono morti fino all’aprile 1945. Non possiamo dimenticarlo».

«Pansa!». La vociona rimbomba nel telefono al terzo squillo.

Buongiorno Pansa, parliamo della Resistenza?

«Certo, sono anch’io un figlio della Resistenza, me ne occupo e ne scrivo da quasi sessant’anni, ho cominciato con la tesi di laurea che ho discusso nel 1959 a Torino, relatore Guido Quazza, 110, lode e dignità di stampa. Da allora non ho più smesso di occuparmene».?

Quanti anni aveva durante la guerra civile?

«Tra gli 8 e i 10, parliamo del ’43-’45. La mia famiglia era genericamente socialista. Se avessi avuto 19 anni con ogni probabilità sarei andato anch’io in montagna».

A combattere il fascismo?

«Sì, ma in Italia nazismo e fascismo non sono stati sconfitti dalla Resistenza. È una verità che non piace a molti, ma è la verità. Sono stati sconfitti dagli Alleati, in particolare dagli angloamericani e non solo. Da migliaia di ragazzi americani, inglesi, canadesi, brasiliani, persino indiani e della Brigata ebraica che sono morti fino all’aprile 1945. Non possiamo dimenticarlo».?

E cosa fu la lotta di Liberazione?

«Una guerra civile, un affare di due minoranze. Erano ragazzi di 18-19-20 anni. E si sono trovati in un conflitto bestiale. La retorica resistenziale accredita la ferocia soltanto ai fascisti e certo che erano feroci, ma i partigiani lo sono stati nello stesso modo, hanno compiuto eccidi e torture. È successo in Valsesia – la fonte è uno storico di provata fede antifascista, Cesare Bermani – che due ausiliarie ritenute spie furono uccise facendo esplodere una bomba a mano nella vagina. Ma è solo uno dei tanti episodi».

Perché questa ferocia?

«Dipendeva dal carattere dei comandanti o delle bande, partigiane o fasciste che fossero, ma anche dal tipo di guerra e tra il ’43 e il ’45 ci sono state tante guerre: c’era chi combatteva per liberare il Paese dal fascismo e chi per preparare la rivoluzione comunista. Ci sono stati delitti politici che non verranno di sicuro ricordati tra il 24 e il 25 aprile. C’è stato l’eccidio dei partigiani bianchi a Porzûs, le malefatte della banda Moranino, ci sono stati dei comandanti, veri partigiani, ma non comunisti, eliminati misteriosamente nei giorni della Liberazione».

Pansa, lei dodici anni fa ha pubblicato da Sperling & KupferIl sangue dei vinti, rovesciando il punto di vista ufficiale e guardando ai fatti dalla parte degli sconfitti, dei fascisti. Perché? Qual era il suo intento?

«Per capire bene le guerre civili non possiamo fermarci nel momento in cui si concludono, uno vince e uno perde. Conoscevo i tentativi di Giorgio Pisanò e i piccoli libri pubblicati da editori sconosciuti. Ma non c’era un racconto organico. Ho fatto un’inchiesta, ho girato mesi, nel Centro ma soprattutto nel Nord Italia, andando a vedere i posti e verificare quello che mi raccontavano. L’unico intento era di fare una cosa che per come la facevo io non l’aveva mai fatta nessuno».?

E infatti il suo libro è stato uno scandalo: ma come, Pansa, uno di noi, che si mette dalla parte dei fascisti?

«È successo il finimondo per la reazione dei compagni e dei compagnucci ma anche di altra gente, mi viene in mente Giorgio Bocca, ma è scomparso e non voglio più litigare con lui. La cosa meno cattiva ma più sciocca che mi dissero era che l’avevo scritto per compiacere Berlusconi perché mi facesse nominare direttore del Corriere della Sera. Una cosa ridicola».?

Ma in quel momento Berlusconi era al governo, non perdeva occasione per banalizzare il fascismo, aveva appena detto che Mussolini mandava gli intellettuali in villeggiatura a Ventotene. Sembrò che il suo libro si adattasse bene in quel clima.

«Sono il giornalista che ha scritto uno dei primi libri su Berlusconi, che è uscito nel 1990, L’intrigo, pubblicato da Sperling & Kupfer. L’avevo preparato per la Rizzoli, ma lette le bozze mi dissero che non potevano pubblicarlo altrimenti Berlusconi gli avrebbe tagliato la diffusione di Sorrisi e canzoni. A me di Berlusconi non me ne è mai importato nulla. Perché io sono un vero qualunquista, quelli di oggi tipo Grillo, Salvini e la Le Pen mi fanno ridere. Dovrei metterla io una felpa invece di quelle sciocchezze che indossa Salvini per dire: sono il qualunquista nazionale».?

E infatti hanno scritto che il suo libro blandiva e in fondo esaltava la zona grigia e giustificava il perenne qualunquismo italiano.

«Sciocchezze, io non ho mai parlato di zona grigia, io volevo raccontare storie di esseri umani che si muovevano, combattevano, si sparavano e ammazzavano. La zona grigia è inesistente: quando il fascismo imperava erano tutti fascisti, quando è stato abbattuto sono diventati tutti antifascisti. Quando sarò morto verrò ricordato soprattutto per questo libro che è uscito nell’ottobre 2003 e a dicembre aveva già venduto 300 mila copie. Nemmeno l’editore ci credeva. Oggi siamo a un milione e ovunque vada c’è gente che si avvicina, mi ringrazia e mi abbraccia».?

Un successo che non le è stato perdonato.

«Il mio caso ha messo allo scoperto un mondo terribile e cioè che una democrazia nata da una guerra civile dovrebbe essere conciliante, riconoscere e non disprezzare il lavoro di uno che viene dalla sua parte, che ha lavorato per tutta la vita in giornali di sentimenti antifascisti, dal Giorno, a La Stampa, al Corriere, a Repubblica per 15 anni, all’Espresso per 17 e che ha attraversato un territorio proibito per raccontare quello che era successo».?

Chi sono i suoi lettori?

«Lo vedo dalle ventimila lettere che ho ricevuto in questi anni: un 30-40 per cento sono persone anche giovani legate per ragioni famigliari a quell’esperienza. Un’Italia che quel pazzo di Berlusconi sta buttando nel guardaroba dei cani, come diceva mia nonna Caterina. Gli altri sono lettori neutri, curiosi che si fidano di quel cronistaccio di Pansa che non è un accademico, ma nemmeno un dilettante improvvisato».?

Un revisionista?

«Ah quella parola sono stato tra i primi a pronunciarla, il 24 maggio del 1959, in un convegno a Genova, c’era Ferruccio Parri, mi sono alzato e ho attaccato Roberto Battaglia, autore della Storia della Resistenza italiana pubblicata da Einaudi (che Longo aveva corretto, perché troppo intrisa di azionismo), dicendogliene di tutti i colori. L’ex sindaco socialista di Genova ha protestato, ma Parri mi ha lasciato parlare. Poi mi ha chiamato e mi ha detto: hai fatto bene, i giovani devono tirare i sassi nei vetri, i vetri si rompono, vediamo che erano sporchi e andavano cambiati. Poi mi diede 25 mila lire, un assegno rosa del Credito italiano, come una sua personale borsa di studio».

Senta, Pansa, nei suoi libri fascisti e partigiani sembrano stare sullo stesso piano. Perché? Non c’era una parte giusta e una sbagliata?

«Intanto non è vero che metto tutti sullo stesso piano. E poi, che domanda è? La parte giusta era quella della Resistenza. Con una nota a margine. Che il maggior numero delle bande erano delle Garibaldi ed erano comandate da due ossi da mordere, Longo e Secchia, convinti che la guerra di resistenza al fascismo fosse solo il primo tempo. Poi doveva arrivare il secondo… per fortuna grazie a Stalin, a Yalta, a De Gasperi il secondo tempo, dalla dittatura nera a quella rossa, non arrivò mai».

S’è mai pentito di aver scritto quel libro?

«Mai, ne sono orgogliosissimo, ha rotto un tabù, ma mi fa ridere chi dice che si sapeva tutto. Mi fa paura la retorica che esploderà in questi giorni… guai se non si celebrasse il settantesimo, ma chissà cosa dirà Renzi che non sa niente. Vorrei scappare dall’Italia, fare il turista in Australia…».?

E invece cosa farà il 25 aprile??«Come ogni giorno mi alzerò alle 6 e dopo una piccola colazione accenderò il computer e mi metterò a scrivere. È la mia vita, lo farei anche gratis. E poi, come diceva Totò, bisogna insistere: e io insistisco».

 di Andrea Martinetti – La Stampa

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