Infuria la polemica delle parti sociali con il governo per gli ultimi annunci in merito alle misure su pensioni e uscita in anticipo dal mondo del lavoro. Le decisioni a Palazzo Chigi sembrano ormai prese, ora c’è da capire se le scelte sono modificabili, migliorabili o, come spesso è accaduto durante i quasi tre anni di governo Renzi, saranno invece irrevocabili,
I problemi ci sono, tanto che il sottosegretario Tommaso Nannicini è dovuto intervenire pubblicamente per spiegare meglio le cifre di questi provvedimenti. Ma come era prevedibile, subito ha avuto chi si è messo, calcolatrice alla mano, si è messo a fare due conti. E alcuni non tornano proprio.
Come il “Qn”, che ha misurato il cosiddetto Ape (anticipo pensionistico), scovando che “il prestito previdenziale ventennale per garantire la flessibilità in uscita sarà gratuito per particolari categorie (disoccupati anziani, chi svolge lavori pesanti, lavoratori con disabilità o inabilità o che assistono familiari disabili), a condizione che il reddito mensile non superi i 1.000 euro” e che “per tutti gli altri che vogliono andare via prima dell’età pensionabile, il costo della rata di rimborso sarà pari a 50-60 euro mensili per ogni anno di anticipo e per ogni 1.000 euro di assegno. Insomma, la penalizzazione implicita sarà del 5-6% per ogni anno di anticipo e raggiungerà il 18-20% se si andrà via tre anni prima, cioè 150-200 euro per 1000 euro”.
E ancora c’è l’Ape non agevolato. “Riguarda chi, non rientrando nelle categorie tutelate, vuole anticipare l’addio al lavoro. Ma potrà riguardare anche gli esuberi strutturali di un’azienda. Il costo dell’operazione segue logiche di mercato (anche se nel caso degli esuberi potrà essere coperto in tutto o in parte dal datore di lavoro). Il prezzo dell’anticipo è quantificabile in 50-60 euro mensili per ogni anno su 1.000 euro: 100-120 per 2 anni di anticipo, 150-200 per tre anni. Per un assegno di 1.500 euro significa 75-90 euro mensili per un anno, 150-200 per due anni, di 225-300 euro per tre anni”, scrive il Qn.