L’indagine riguarda 137 mila società italiane. Dopo anni di contrazioni profonde, nel 2014 è tornata ad aumentare la redditività.
Cerved, leader in Italia nell’analisi del rischio del credito, ha presentato oggi, nel corso dell’incontro annuale di Osservitalia, i risultati del Rapporto Cerved PMI 2015, la pubblicazione annuale che fornisce un’analisi dettagliata dello stato di salute economico-finanziaria delle 137 mila società italiane che rientrano nella definizione europea di piccole e medie imprese. In sintesi, il quadro che emerge nel Rapporto firmato da Cerved, mostra nel corso del 2014 e nei primi mesi del 2015 chiari segnali di miglioramento per le PMI, più marcati di quelli che si osservano per le grandi imprese. Le PMI hanno accresciuto il fatturato, il valore aggiunto e, in misura maggiore, i margini lordi. Dopo anni di contrazioni profonde, nel 2014 è tornata ad aumentare la redditività, che ha superato quella delle grandi imprese, che invece si è ridotta. Nel 2015, inoltre, le PMI hanno migliorato il profilo di rischio, e pagato con maggiore puntualità i propri fornitori; si è fortemente ridotto il numero di fallimenti e di chiusure di PMI, mentre sono aumentate le nascite.
“Considerati nel complesso i dati del Rapporto Cerved 2015 indicano che il nostro sistema di PMI sta uscendo dalla crisi, ridimensionato in termini numerici ma rafforzato in termini qualitativi. Negli scorsi anni il profilo economico-finanziario delle PMI era migliorato grazie all’uscita in massa delle società più fragili; questa tendenza – ha commentato Gianandrea De Bernardis, Amministratore Delegato di Cerved – è ora accompagnata da un aumento, anche in termini assoluti, del numero di società finanziariamente solide, che ora stanno beneficiando della congiuntura positiva. Nel 2014, le PMI sono finalmente tornate ad aumentare la redditività, che ci aspettiamo in crescita nel prossimo biennio, anche se a livelli ancora distanti da quelli pre-crisi. Questa ripresa potrebbe essere accelerata se si smaltirà rapidamente l’elevato stock di crediti deteriorati accumulati durante la crisi.” Il profilo delle PMI in Italia.
Secondo i criteri definiti dalla Commissione Europea, si definisco PMI le aziende con un giro d’affari compreso fra i 2 e i 50 milioni di euro e un numero di dipendenti fra i 10 e i 250. In base agli ultimi bilanci disponibili, il numero di Società di capitale non finanziarie presenti in Italia è di oltre 137 mila. Di queste, oltre 113 mila sono definibili “piccole imprese” e quasi 24 mila sono classificabili come “medie imprese”. Motore economico del Paese, le PMI nazionali rappresentano oltre un quinto (22%) di tutte le società che hanno depositato un bilancio in attivo e occupano circa 4 milioni di addetti. Queste aziende realizzano un fatturato complessivo pari a 838 miliardi di euro, un valore aggiunto di 189 miliardi di euro (pari al 12% del PIL) e hanno contratto debiti finanziari per 255 miliardi di euro. Rispetto al complesso delle società non finanziarie, pesano per il 36% in termini di fatturato, per il 41% in termini di valore aggiunto, per il 30% in termini di debiti finanziari.
Il contesto attuale: si interrompe la caduta del numero delle PMI…
I dati più recenti indicano che l’emorragia di PMI si è fermata: il numero di piccole medie imprese attive sul mercato, che si era ridotto da 150 a 137 mila tra 2007 e 2013, nel 2014 è rimasto ai livelli dell’anno precedente. Il saldo tra PMI nate e morte è tornato ad essere positivo nel 2014, ma è stato neutralizzato dal saldo, ancora negativo, tra microimprese che crescono fino a diventare PMI e società che percorrono il sentiero inverso, da PMI a microimprese. Nel corso del 2014 e del 2015 il numero di PMI fallite, in procedura concorsuale non fallimentare o liquidate per volontà dell’imprenditore è diminuito con tassi a due cifre, in tutti i settori dell’economia analizzati. Anche la demografia d’impresa indica che la ripresa è in atto: l’introduzione delle Srl semplificate ha dato un nuovo impulso all’imprenditorialità e, nel corso del 2014 e del 2015, si segnala un importante aumento delle nascite Le imprese che sono cresciute nonostante la crisi lo hanno fatto grazie a una struttura economica e finanziaria particolarmente forte: le società che sono passate da microimpresa a PMI sono più produttive, più solide finanziariamente, meno dipendenti dal credito bancario, più redditizie rispetto a quelle che grazie a conti economici più solidi, fanno meglio delle grandi imprese.
Seppure in ritardo rispetto al rilancio della congiuntura internazionale, i conti economici delle PMI hanno ripreso a crescere, in controtendenza rispetto alle grandi società che hanno riportato risultati ancora negativi. Nel corso del 2014 i fatturati delle PMI italiane sono cresciuti dell’1,5%; le società industriali guidano la crescita (+3,1%) seguite da quelle attive nei servizi (+1,3%). Grazie alle politiche di contenimento dei costi attuate durante la fase di stagnazione e proseguite nel 2014, le PMI hanno visto crescere il valore aggiunto del 3,3%. Anche in questo caso è l’industria a trainare la ripresa.
Sono aumentati, in misura maggiore, anche i margini lordi (+4,6% tra 2014 e 2013) grazie soprattutto alla dinamica positiva della produttività del lavoro. Il ROE è cresciuto dal 5,9% al 7,1%, superando quello generato dalle grandi imprese, che invece è sceso dal 6,8% al 6,4%. I risultati sono stati particolarmente brillanti per le PMI manifatturiere e, in misura minore, per quelle che operano nel terziario. Nel corso del 2014 e nella prima metà del 2015, il miglioramento dei conti economici è stato accompagnato da pagamenti più rapidi: le PMI hanno saldato le fatture in media in 74 giorni, una settimana in meno rispetto al picco della crisi, con ritardi ai minimi dall’inizio del 2012. Le PMI sono riuscite a migliorare i conti economici e a pagare più velocemente, nonostante condizioni di accesso al credito, bancario e commerciale meno vantaggiose rispetto alle grandi società: le piccole medie imprese pagano il credito bancario 70 punti base in più e dispongono di due settimane in meno di credito commerciale da parte dei fornitori.
I bilanci delle PMI: le previsioni di Cerved per il 2017
Secondo i modelli di previsione di Cerved, basati su uno scenario macroeconomico moderatamente positivo e caratterizzato da una progressiva accelerazione del PIL fino al +1,5% nel 2017, i conti economici delle PMI Con un aumento del ricorso al capitale di debito e un ulteriore rafforzamento della situazione patrimoniale, nel 2016 il fatturato dovrebbe tornare in termini nominali oltre i livelli pre-crisi (in termini reali rimarrà inferiore per tutto il periodo di previsione). Grazie a politiche di contenimento dei costi, Cerved stima un aumento più consistente per il valore aggiunto e per i margini lordi, che arriveranno a crescere a tassi del 7,5% nel 2017. Questi miglioramenti si rifletteranno sugli indici di redditività operativa e netta, previsti in aumento ma a livelli ancora inferiori a quelli precedenti la crisi. Sul fronte del rischio, il sistema delle PMI sta diventando gradualmente più polarizzato, con un aumento del numero di società sia nell’area di rischio sia nell’area di sicurezza. A settembre 2015, per la prima volta dal 2012, il numero di PMI con un upgrade del proprio score (che ne sintetizza il merito creditizio) è maggiore di quelle con un downgrade, con una dinamica particolarmente positiva nell’industria. Queste tendenze, insieme alla previsione di un ulteriore miglioramento dei principali indici di sostenibilità finanziaria, consentiranno una graduale diminuzione dei tassi di ingresso in sofferenza delle PMI. Questi dovrebbero passare dal picco del 3,1% del 2014 al 2,6% del 2017, se calcolati sulla base del numero di aziende, e dal massimo del 5,5% del 2013 al 4,3%, se calcolati rispetto al valore del credito concesso.
I crediti deteriorati, un’incognita sulla ripresa delle PMI
Una delle incognite principali che grava sulla ripresa del sistema delle PMI italiane è costituita dall’elevato stock di crediti deteriorati (o NPL) e di sofferenze accumulato dalle banche italiane durante la crisi. Volumi significativi di NPL nei bilanci delle banche possono penalizzare l’offerta di credito e avere ripercussioni particolarmente negative per le PMI, che dipendono quasi completamente dai finanziamenti bancari. Cerved stima che, con ipotesi di moderata ripresa del quadro economico e con gli attuali tempi della giustizia (in media più di 7 anni per smaltire le sofferenze) l’ammontare delle sofferenze lorde continuerebbe a crescere fino al 2020, raggiungendo la cifra record di €216 miliardi (€184 miliardi a fine 2014), iniziando a diminuire in rapporto agli impieghi nel 2018. Il Governo è recentemente intervenuto con un pacchetto di misure che mirano ad accorciare la durata dei fallimenti, ad aumentare il successo del concordato preventivo, a velocizzare le procedure esecutive sui beni mobili e immobili. Gli impatti, secondo un ristretto gruppo di banche e di operatori del mercato dei NPL ai quali Cerved in collaborazione con Abi ha sottoposto un questionario, potrebbero essere significativi: in base alle aspettative, le norme potrebbero portare a una riduzione del 28% dei tempi dei fallimenti e del 20% di quelli delle aste immobiliari, con un conseguente calo dei tempi medi di estinzione delle sofferenze da 7,3.
Con queste tempistiche, lo stock di sofferenze dovrebbe raggiungere un picco nel 2018, per poi diminuire fino a raggiungere €197 miliardi alla fine del 2020. In altri termini, anche con ipotesi di moderata ripresa del quadro economico e di successo della riforma, le sofferenze rimarrebbero al 2020 su valori simili a quelli attuali senza interventi aggiuntivi. Per accelerare l’uscita delle sofferenze dai bilanci bancari è quindi necessario attivare il mercato dei NPL, che in Italia ha finora avuto una dimensione limitata, per l’ampia forbice di prezzo esistente tra chi vende i crediti deteriorati, le banche, e i potenziali compratori, principalmente Fondi di investimento specializzati in NPL.
Le valutazioni degli investitori sono state particolarmente basse per una serie di ragioni, tra le quali i diversi tassi di sconto più vantaggiosi ai quali possono finanziarsi le banche e asimmetrie informative, che possono rendere particolarmente prudenti gli investitori relativamente alle attese sui tempi per recuperare le sofferenze e sulle quote di recupero. In questa cornice, l’ipotesi di una bad bank che contribuisca ad accresere la liquidità e fornisca forme di garanzia agli investitori istutuzionali potrebbe contribuire in modo determinante alla crescita del mercato dei NPL, riducendo l’effetto delle asimmetrie informative e facilitando l’accesso di operatori con orizzonte di medio-lungo periodo, come i Fondi pensione, per i quali il rischio di perdite sugli investimenti rappresenta il freno principale alla partecipazione al mercato.
Dal comunicato stampa Cerved.