Che “monnezza” di storia. C’è una voce che gira insistentemente tra i palazzi del potere, che agita i sogni del sindaco di Roma, Virginia Raggi. La “gola profonda” è interna al Movimento 5 stelle capitolino: l’assessore all’Ambiente, Paola Muraro, già dalla prossima settimana potrebbe essere costretta a rassegnare le dimissioni. Dopo tutta la bufera mediatica sul caos rifiuti nella Capitale, la scoperta dei suoi conflitti di interessi, le telefonate con Buzzi e i poco chiari rapporti con il “re” delle discariche laziali, il plurindagato Manlio Cerroni, i grillini suggeriscono che la vicenda da politica potrebbe trasformarsi in giudiziaria. Nel senso che dalla magistratura potrebbero recapitarle un avviso di garanzia nell’ambito delle indagini sul tritovagliatore di Rocca Cencia, ma non solo. Per le regole pentastellate sarebbe da espulsione immediata, ma essendo un tecnico esterno al Movimento, in caso di indagine deve essere rimossa dall’incarico. Cosa farà la sindaca Raggi?
Grillini vittime di se stessi. Più di un comunicatore pentastellato si è accorto che qualcosa inizia a non funzionare più nel modus operandi del Movimento. Il terreno scelto da Grillo e Casaleggio per scalare posizioni è sempre stato quello di rendere falso, bugiardo e menzognero tutto ciò che gravitasse nell’orbita della politica e della finanza, che comunque leggono lo stesso copione. È andata benissimo la strategia, perché ora c’è una classe dirigente del 5 Stelle che nei sondaggi vola. Peccato però che affianco alle percentuali altissime di gradimento del popolo manchino sempre quelle sulle previsioni di astensionismo. Sorpresa! Sono quasi il doppio. Cioè il popolo non ama i populismi e i populisti. Ma soprattutto non crede più alla politica. Esattamente il mood scelto dal M5S per arrivare dov’è ora. Ecco dunque le preoccupazioni: ma se tutti sono feccia, lo siamo anche noi. E vincere senza oltre la metà del voto degli italiani, è una vittoria del potere, non della politica. Perché in quel caso chi dovesse vincere una competizione elettorale lo farebbe solo grazie accordi, accordicchi e truppe cammellate. Il manuale Cencelli usato da Renzi a Palazzo Chigi per le nomine varie e quello della Raggi per le nomine a Roma, docet. Della serie: chi di vaffa ferisce, di vaffa perisce?
La gaffe “manesca” del portavoce di Renzi. Lo riporta il Fatto Quotidiano nell’edizione del 5 agosto. Il portavoce del premier Renzi e capo ufficio stampa del Pd, Filippo Sensi, alias Nomfup sui social network, è incappato nella più classica delle gaffe nell’era tecnologica: l’invio alla chat sbagliata di un messaggio riservato. Il contento è inequivocabile: “Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l’Isis”. Chiaro riferimento a quando il parlamentare del M5S nel 2014 disse che con il Califfato bisognava dialogare, o quantomeno riconoscerlo come interlocutore, per evitare attentati. Peccato che la chat-room a cui Sensi ha inviato il “comando” sia quella dei giornalisti che solitamente seguono il premier. Magari pensava di averlo mandato alla “community” del Pd che ogni giorno prova – a fatica e con scarsi risultati, a dire il vero – a rintuzzare la corazzata social dei grillini. La scusa per giustificare il grossolano errore è la classica toppa che fa effetto peggiore del buco: “Scusate, per errore ho copiato e incollato qui il messaggio di un parlamentare”. Ancora il ctrl C + ctrl V? A 24 ore dalla campagna social del Pd contro il copia e incolla del programma della sindaca Raggi a Roma? Una scusa leggerissimamente banale, per uno accorto anche alle virgole come lui. Più controllo e meno ctrl V, Nomfup!
Schifani torna all’ovile. L’ex presidente del Senato, dopo aver abbandonato Forza Italia per seguire Alfano nello stampellare il governo Letta prima, e quello di Matteo Renzi poi, ha fatto rientro alla casa base del Cavaliere. Peccato che Berlusconi, al netto delle dovute parole di elogio e delle cortesie del buon padrone di casa che da il bentornato, non abbia accolto Schifani come il “figiuol prodigo”. Nessun vitello grasso è stato ammazzato per festeggiare. Il motivo? Semplice: Silvio non voleva che tornasse lui, cioè quello che ha consentito la scissione degli alfaniani nel momento peggiore della vita del Cav (condanna definitiva per il caso Mediaset, incandidabilità e servizi sociali). All’epoca Schifani sentì puzza di morto (politicamente parlando) e scelse la sinistra bersanian-lettiana. Pensò, poi, che il futuro (il suo, ovviamente) si chiamasse Matteo Renzi, ma ora che risente la stessa puzza del 2013, ritorna in fretta e furia dalla parte destra del campo. Ma Berlusconi non ha strapuntini da offrire, dovrà fare il parlamentare semplice e votare secondo le indicazioni del gruppo. Ogni “perdono”, in politica, ha un prezzo da pagare.
robyuankenobi
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