Equitalia più “cattiva”. Tutti hanno sentito Matteo Renzi dire: “Equitalia arriva al 2018? Non ci conterei”, lasciando intendere che entro la scadenza elettorale, lui e il suo governo chiuderanno l’agenzia di riscossione dei crediti della Pubblica amministrazione. Pochi, invece, sanno che in realtà il piano è diverso. Perché l’attuale premier ne parla da anni, ma in mente ha solo una trasformazione: trasformarla in ramo d’azienda dell’Agenzia delle entrate. E siccome l’Ade avrà a breve la completissima anagrafe tributaria, con tutte le informazioni su ognuno dei cittadini italiani, contribuente o evasore che sia, compresi i dati sui conti correnti bancari, le carte di credito prepagate o i libretti postali, la nuova Equitalia avrà campo e potere più vasti, che la renderanno ancora più “cattiva” alla ricerca di liquidità. Un braccio armato del renzismo: il premier deve garantirsi le risorse per altre misure spot da qui al referendum sulla riforma costituzionale – tipo gli 80 euro – e non può permettersi il lusso di rinunciarci per mancanza di coperture.
Teatralità e candidature. C’è una frattura enorme nel Movimento 5 Stelle tra le due più grandi correnti che la animano: i seguaci di Di Maio e quelli di Di Battista. Il pomo della discordia è Roma, o meglio la candidatura di Virginia Raggi, notoriamente “protetta” del deputato romano, ex aspirante attore che nelle sue uscite pubbliche non disdegna qualche espressione teatrale, forse troppo per i suoi detrattori interni. E anche la candidata al Campidoglio, nel confronto su Sky con i competitor, ha mostrato di aver assimilato gli “insegnamenti” del suo mentore e si è lasciata andare ad appelli televisivi più simili a scene madre degne di Anna Magnani che a discorsi di un amministratore pubblico. Questo atteggiamento ha fatto andare su tutte le furie Davide Casaleggio, che temendo proprio l’influsso di Di Battista, il quale va bene per acchiappare click ma non per le campagne elettorali sul piccolo schermo, le aveva imposto un collegio di “badanti” che andava da Roberta Lombardi a Paola Taverna, espressioni delle correnti e degli atteggiamenti opposti a Di Battista, pur di livellare gli squilibri. Ma il tentativo è evidentemente fallito, pensano a Milano.
Silvio, cos’hai in testa? Giorgia Meloni lo ha ammesso: dopo l’appoggio a Marchini non ho più sentito Berlusconi. Dice la verità, la leader di Fratelli d’Italia, perché davvero il Cav e la sua ex ministra sono stati vicinissimi a un accordo. Peccato che a farlo saltare sia stato Matteo Salvini in persona, che ormai ha un solo scopo: “distruggere” tutto quello che può mettersi di traverso tra sé e la leadership del centrodestra. Il segretario leghista ha stretto troppe mani e fatto troppe promesse, in giro per l’Europa e l’Est del mondo, per permettersi il lusso di far vincere ancora l’alleato-nemico Silvio. E non andare al ballottaggio a Roma con Meloni, ma farlo con Parisi a Milano, sarebbe una sconfitta sanguinosa per il Matteo del Carroccio.