Gli attentati servono a Isis per incutere terrore nei popoli e così “controllarli”, affermare la potenza di fuoco e la supremazia sugli altri gruppi jihadisti e rafforzare le proprie cellule con nuove reclute.
Bruxelles sanguina e l’Europa è sotto assedio. La capitale del Belgio è stata teatro di un attacco jihadista assai simile a quello che il 13 novembre ha investito la capitale della Francia. Un commando ben addestrato di seguaci del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico, ha applicato con minuzia di particolari un piano studiato – nei tempi e nei luoghi – per colpire in maniera da causare il più alto numero possibile di vittime civili innescando il caos con l’intento di dimostrare l’incapacità delle forze di sicurezza di difendere il territorio. Umiliando la sovranità del Belgio sede delle istituzioni europee. Il risultato è stato precipitare nel panico, anche se solo per poche ore, una grande città europea.
Ieri Bruxelles come era avvenuto a Parigi. È una tattica di guerriglia che nasce dall’addestramento dei jihadisti nei campi del Califfato in territori già appartenuti a Siria e Iraq, evidenzia la creazione a Raqqa di una sorta di «ministero delle operazioni all’estero» capace di impartire ordini e seguire operazioni a distanza, e lascia intendere che è già in fase avanzata una campagna di attacchi contro le città europee.
Lo Stato Islamico è un avversario sanguinario e duttile perché capace di adattare il metodo di combattimento ai diversi territori di scontro: nel deserto si affida a gruppi esigui di combattenti per controllare risorse e vie di comunicazione sfuggendo ai raid avversari mentre in Occidente colpisce le metropoli con gruppi d’assalto capaci di usare più tipi di armamenti perché è qui che abbondano gli obiettivi da colpire, i civili. La campagna jihadista contro le nostre città ha tre obiettivi. Primo: esaltare i seguaci al fine di moltiplicare le reclute in Europa ovvero rafforzare le cellule terroriste all’interno di una comunità musulmana europea che in gran parte non è contagiata dall’ideologia totalitaria del Califfo. Secondo: testimoniare in Medio Oriente e Nordafrica che è Isis la più potente organizzazione jihadista al fine di convincere rivali ed avversari, all’interno della galassia fondamentalista, alla sottomissione, riuscendo così ad imporsi su organizzazioni come Al Qaeda e movimenti come i Fratelli Musulmani. Terzo: terrorizzare gli europei, governi e cittadini, per precipitarli in una sensazione di impotenza e debolezza capace di schiudere ai jihadisti lo scenario che più desiderano ovvero il saccheggio, economico e umano, del Vecchio Continente.
Se Osama bin Laden l’11 settembre 2001 attaccò l’America per obbligare l’Occidente ad abbandonare le terre dell’Islam, Abu Bakr al-Baghdadi persegue il disegno apocalittico di un Califfato jihadista destinato ad assoggettare l’Europa – Roma inclusa – per riscattare la caduta di Costantinopoli. Documenti, video e testimonianze di Isis offrono un tesoro di informazioni – quasi sempre accessibile online – che ci consente di conoscere la sconvolgente limpidezza del progetto del Califfato del terrore. Tale chiarezza di intenti stride con la confusione che regna sul fronte delle democrazie aggredite. Europa e Stati Uniti combattono in Siria e Iraq, da quasi due anni, una guerra disordinata e svogliata contro Isis, in Nordafrica hanno lasciato l’iniziativa ai jihadisti dalla Libia al Mali, e sul fronte interno sono divisi da politiche di sicurezza che nel migliore dei casi non sono coordinate, e nel peggiore sono in contrasto. Ciò consente ai jihadisti di avere più strumenti ed occasioni per colpire in un campo di battaglia senza confini. Ecco perché le democrazie hanno bisogno di una nuova coalizione per fronteggiare e combattere il primo avversario totalitario del XXI secolo. I precedenti del Novecento ci suggeriscono la strada da seguire: bisogna trovare un’intesa sulla definizione del nemico, conoscerlo a fondo e quindi dotarsi di una dottrina di sicurezza capace di sconfiggerlo. Battersi contro il Califfo con l’arsenale di idee, strategie ed armamenti del secolo scorso ci condannerebbe a subire altre stragi. Al momento il fronte delle democrazie sembra privo di leader capaci di confrontarsi con tale sfida ma la Storia ci insegna che sono spesso le crisi, le guerre, a forgiare chi guiderà le nuove generazioni.
di Maurizio Molinari
Fonte: La Stampa